L’addio del Trota, il figlio che studiava da delfino
Bossi jr. a 24 anni è già al capolinea della carriera-lampo politica costruita sulle spalle del padre Umberto e tra i malumori della base del partito.
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(red.) Quando il padre era da poco rientrato dalla convalescenza in Svizzera, nell’autunno del 2004, era lui, il primo dei tre figli di Umberto Bossi e Manuela Marrone, ad aprire la porta agli ospiti, che si trattasse di un parente stretto come lo zio Franco o dei membri della segreteria politica della Lega, che in quei drammatici mesi si riuniva a Gemonio e non in via Bellerio, o si trattasse anche di Silvio Berlusconi, allora capo del governo, che si presentava con vassoi di pasticcini per onorare la tavola domenicale del Senatùr.
Renzo Bossi, che lunedì si è dimesso da consigliere regionale della Lombardia (era stato eletto nella circoscrizione di Brescia) sull’onda delle inchieste giudiziarie sulla gestione dei rimborsi elettorali della Lega Nord, incominciava allora a prendere gusto per i riti della politica, giovanissimo e premuroso aiutante dei genitori.
La stampa, dopo che si era affacciato insieme al ‘Capo’ al rientro sulla scena dalla finestra della casa di Carlo Cattaneo a Castagnola, in Svizzera, era il 2005, iniziò a indicarlo come il delfino di papà Umberto, il quale tre anni dopo sul Monviso, prima di riempire l’ampolla, lo declassò a “trota” nel tentativo di proteggerlo dalle pressioni. Oggi, a 24 anni, l’ascesa di Renzo Bossi nella Lega è arrivata al capolinea: qualcuno, nel Carroccio, non vorrebbe solo le sue dimissioni dal Pirellone ma addirittura l’espulsione dal movimento creato dal padre e cofondato dalla madre.
La commistione fra famiglia e partito, e addirittura il sospetto di averne ampiamente approfittato, non viene perdonata a Renzo, che dopo la “gavetta” con la nazionale padana di calcio (lui manager, il fratello minore Roberto Libertà in campo, il più piccolo Sirio Eridano a tifare) ha fatto il salto al Pirellone, nella primavera del 2010. ”Mi sono guadagnato i dodicimila voti”, è andato ripetendo davanti ai detrattori, “battendo comune per comune la provincia di Brescia”, dove è stato eletto lontano dalla natia Varese, la cui base aveva storto il naso per la candidatura.
Non solo per questo i militanti padani hanno però maldigerito l’ascesa del giovane Bossi. Perché Renzo è stato anche il figlio che nel frattempo ha accompagnato il padre alle cene di Arcore e ai vertici di maggioranza a palazzo Grazioli, quando Umberto era ministro delle Riforme del Cavaliere. E nello stesso tempo la sua vita veniva sempre più chiacchierata, dal diploma ottenuto al quarto tentativo al giallo della laurea a Londra agli strafalcioni nei suoi interventi pubblici alle uscite con qualche starlette di turno pronta poi a raccontare vizi e virtù ai giornali.
Il tutto “premiato” con un ruolo politico al Pirellone, in cui Renzo in due anni ha ottenuto una legge (sull’educazione alla legalità) e un paio di mozioni, una contro la vivisezione e una a favore del federalismo. Un’ascesa controversa, quasi ingenua, che nell’immaginario di chi ha sempre osteggiato ”l’ingresso in politica dei figli di” è diventata il simbolo di una Lega poco leghista.
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