“La scrittura come emancipazione”, venerdì un incontro in Sant’Afra

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(red.) Il progetto Fili da Riannodare. Dal carcere a nuovi spazi di libertà nasce dall’iniziativa dell’associazione ‘Fiducia e Libertà Carcere’ che opera nelle carceri di Brescia dal 2017 dove svolge la propria attività di volontariato alla popolazione carceraria attraverso colloqui, progetti culturali, iniziative di sensibilizzazione, attività teatrali e laboratori sul tema della genitorialità ed affettività.
Il progetto prevede cinque incontri da maggio a luglio 2021 aperti alla popolazione, che si svolgeranno presso il Teatro Sant’Afra, vicolo Delle Ortaglie 6, dalle ore 18,30 alle ore 20,30, con ospiti impegnati da anni in attività di formazione culturale e artistica, promozione sociale, difesa dei diritti dei detenuti, impegno divulgativo negli istituti di pena italiani.
Il primo appuntamento, il 14 maggio alle 18,30, ha come tema “La scrittura come emancipazione e testimonianza”. Pino Roveredo, scrittore e giornalista, vincitore del Premio Campiello 2005: da detenuto a garante dei detenuti del Friulia Venezia Giulia. Testimonianze e letture di Redouane Bouadili, Ernesto Settesoldi, Amanuel Tesfaj, David Turcato. A cura di Abderrahim El Hadiri, regista e attore, accompagnamento musicale Marcelo Solla.

Il significato dell’iniziativa è mettere a fuoco uno dei momenti più delicati per un/a detenuto/a: quello del termine della pena. Tornare a tessere la vita dopo anni di reclusione, infatti, non è davvero facile, è indispensabile osare il coraggio della speranza ma per questo non basta la buona volontà o i percorsi formativi del carcere. E’ necessario il coinvolgimento della società civile che va responsabilizzata, coinvolta e informata. L’idea guida del progetto ‘Fili da Riannodare’ è quella di mettere al centro le testimonianze e l’esperienza delle persone detenute, consentendo di accorciare le distanze tra il “dentro e il fuori”, alzare il velo di diffidenza dell’istituzione che talvolta vive come un’intrusione lo sguardo esterno, e della società civile combattuta tra il pregiudizio e l’indifferenza.
L’esperienza della detenzione crea una lacerazione nell’esistenza, sancisce un prima e un dopo, si impone come evento apicale e traumatico. Il tempo della pena e della detenzione delinea nuovi significati e impone interrogativi: è ancora il carcere un luogo di rieducazione? Cosa significa avviare e implementare processi di umanizzazione dentro e fuori dal carcere, con quali scopi, competenze? Con quali esiti? Scontare la detenzione non esaurisce evidentemente la pena: implica la ricostruzione di trame esistenziali, sociali, affettive attraverso percorsi che quando ben preparati, arginano la recidiva e favoriscono il reinserimento sociale del detenuto.

 

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