Lettere al direttore

Sivieri (Api): “Ecco cosa vorremmo dal nuovo Governo”

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    Moody’s ha abbassato le stime di crescita del Pil italiano (dall’1,5% all’1,2% per il 2018), l’Ocse ci ha ricordato che l’Italia è l’unica che rallenta (dallo 0,3% allo 0,2%% nell’ultimo trimestre rispetto al precedente) tra le grandi economie e il nostro debito continua a volteggiare verso cime quasi ineguagliate (2.323 miliardi di euro gli ultimi dati!). I numeri non sono sacre scritture, ma tener conto dei fondamentali aiuta a capire la direzione di marcia che bisognerebbe tenere. Al momento non molto chiara a tutti.

    Non ci siamo strappati le vesti in modo pregiudiziale quando è nato questo governo e continueremo a non farlo ora, nonostante i primi cento giorni non siano stati certo ricchi di novità operative e vengano ricordati dagli imprenditori soprattutto per il cosiddetto decreto dignità che, più attento alla comunicazione che alla sostanza, ha introdotto vincoli probabilmente inutili e fors’anche controproducenti sul lavoro a termine.

    Adesso la discussione sul documento di economia e finanza sta entrando nel vivo e questo, senza ombra di dubbio, sarà il vero banco di prova della nuova coalizione. Le promesse elettorali sono state una cosa, il contratto un’altra ancora, più somma che sintesi, adesso è il tempo delle decisioni. Che devono essere certamente adeguate al principio di realtà ma possono essere comunque significative. Due le strade che vorremmo vedere seguite: da un lato operare in tutoraggio sulle piccole e le medie imprese, l’ossatura produttiva del Paese, nel processo di innovazione; dall’altro generare finalmente il necessario e doveroso percorso di semplificazione burocratica. Su quest’ultima e sugli effetti che si potrebbero ottenere semplificando (e non spendendo) basti ricordare il dato, stima ufficiale del ministero della Funzione Pubblica, che le piccole e medie imprese pagano più di 30 miliardi all’anno soltanto per riempire moduli. Altrettanto importante è il sostegno alle imprese nella cosiddetta quarta rivoluzione industriale. In questi anni tante piccole e medie imprese hanno mutato profondamente pelle, mettendo al centro come mai avevano in passato conoscenze, nuovi processi produttivi, nuovi modelli di business, recuperando di conseguenza produttività e portandosi ai migliori standard europei.

    Molte altre imprese hanno però ancora bisogno di essere aiutate in questa trasformazione, anche con incentivi e sostegni. L’ultimo rapporto sulla competitività dell’Istat ci ricorda che in Italia, ancora oggi, quasi due imprese su tre siano da considerare «a bassa digitalizzazione». I provvedimenti, pur positivi, su ammortamento e iperammortamento fatti dai precedenti governi, sono stati intercettati solo in parte dalle piccole e medie imprese, premiando invece in misura maggiore le imprese più strutturate e di maggiori dimensioni. Su tali aspetti, a parità di spesa, molto si può fare. Allo stesso modo, sempre nella stessa ottica e allargando lo sguardo oltre all’impresa, molto si deve fare per la formazione e l’acquisizione di nuove competenze. L’Italia è oggi uno dei Paesi europei con la più alta percentuale di NEET, di giovani che non studiano, non lavorano e non fanno corsi di formazione: più di uno su quattro, contro una media europea inferiore al 15%.  Allo stesso modo l’Italia è anche uno dei Paesi con la più bassa percentuale di laureati, soprattutto nelle discipline scientifiche ed economiche (il 25%, contro il 37% della Germania), che sono poi quelle più appetibili e spendibili. Se Quarta rivoluzione industriale sarà, inutile ricordarlo, questa sarà solo se ci saranno le competenze adeguate e se verranno coinvolte tutte le PMI. Un duro compito per questo governo, per qualsiasi governo, una strada necessaria ma credibile da percorrere. Lo richiede la situazione in cui continua a versare l’economia italiana, che è in timida ripresa ma non sicuramente solida come dovrebbe e come tutti invece vorremmo.

     Douglas Sivieri, 
    presidente Apindustria Brescia

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