Avvocati: c’è maretta anti Gelmini

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gelmini.jpgI legali bresciani offesi dalle parole del ministro sugli esami per figli di papà.


(red.) "Il vero scandalo non sta tanto nel fatto che la ministra Mariastella Gelmini si sia trasferita a Reggio Calabria per superare l’esame professionale, non è stata la prima e non sarà nemmeno l’ultima a farlo". Chi parla è un avvocato tra i più noti della nostra città, che è rimasto colpito – e non è il solo tra i suoi colleghi bresciani – soprattutto dalla pesante insinuazione nei confronti della categoria contenuta nelle parole del ministro.
Come mai? Per superare l'esame di abilitazione, nel 2001 Mariastella Gelmini ha ammesso in un’intervista di essersi spostata dalla Lombardia alla Calabria: "Io sono fiera del mio percorso scolastico", ha detto, "50 alla maturità classica, 100 alla laurea a Brescia. Poi dovevo fare l'avvocato, la mia famiglia spingeva perché lavorassi presto. Ne avevo bisogno".
Fin qui niente di speciale, ma il colpo basso alla professione forense bresciana è arrivato subito dopo. Parole di Gelmini: "Che senso aveva perdere anni in concorsi dove l'esperienza mi diceva che passavano solo i figli di avvocati e pochi altri?".
Questa frase ha irritato profondamente e anche sconcertato tutta la categoria. Passata di bocca in bocca negli studi legali della provincia, commentata acidamente nella sala avvocati del Tribunale di via Moretto, sembra tratteggiare una professione chiusa, riservata ai figli di papà raccomandati. Una logica che gli avvocati bresciani respingono, tanto che qualcuno ha anche ventilato l’ipotesi di racogliere le firme sotto una dura lettera di risposta al ministro.
"Non è così, naturalmente", dice ancora l’autorevole interlocutore di quiBrescia.it, "e la ministra dovrebbe vergognarsi, dopo tanto parlare di merito e severità, per aver scelto una sede d’esame solo perché agli orali in quegli anni passava più del 90% dei candidati".
Ma come si diventa avvocati? La laurea è solo il primo passo: serve l’iscrizione all’albo dei praticanti procuratori e, dopo due anni "di schiavitù" in uno studio legale con effettiva frequenza delle udienze (è necessario il timbro del cancelliere sul libretto), bisogna superare l’esame che viene indetto ogni anno nelle sedi delle corti d’Appello con tre prove scritte (civile, penale e atto giudiziario). Solo chi passa gli scritti ha poi accesso all’orale.
Fino a una riforma effettuata nel 2003, dopo che nel 2000 era scoppiato uno scandalo a Catanzaro (dove tutti avevano presentato un’identica prova), al Nord si registrava una vera ecatombe dei candidati. Non così al Sud. Tant’è vero che, nel corso dell’esame del 2000, a Reggio Calabria era stato ammesso agli orali il 93,4% dei candidati. A Brescia, per fare un esempio, il 31,7% e a Milano il 28,1%. Alla fine a Reggio era stato promosso l’87% degli iscritti (806 persone). Nella nostra città il 28% (144) e a Milano il 23,1%.
Nel 2001, dopo lo scandalo e prima della riforma, toccava a Gelmini: "La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l’esame", sono le parole pesanti della ministra: "Per gli altri, nulla. C’era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto. Allora, per esempio, anche le modalità in base alle quali veniva corretto il compito erano molto opinabili".
Gelmini, in quegli anni era già consigliere comunale a Desenzano e figura emergente di Forza Italia: non aveva tempo da perdere. "Insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione", ha raccontato semplicemente, "abbiamo deciso di andare a fare la prova a Reggio Calabria. E’ stato un esame assolutamente regolare".

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