Brescia, chiesta la riapertura di un caso di pedofilia in un asilo

(red.) Presentato il mandato per riaprire il caso su un episodio di pedofilia nei confronti di una suora di un asilo di Brescia.
Lo riferisce il vicepresidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus. Silvio De Fanti, che raccona come alcuni giorni fa i membri del Comitato e di Pronto Soccorso Famiglia siano stati contattati da una mamma disperata a causa del ricovero “coatto” del figlio di soli sette anni nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Brescia. L’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena ha depositato, nella giornata di lunedì 20 maggio,  il mandato per riaprire il caso sull’episodio di pedofilia riferito dal bambino nei confronti di una suora di un asilo di Brescia, per fare luce sul comportamento delle istituzioni sociali e sanitarie locali e soprattutto per restituire il bambino alla sua famiglia.
Alcuni anni fa Gianni (nome di fantasia) ha riportato con dovizia di particolari gli episodi di abuso sessuale commessi da una suora nell’asilo che frequentava. La mamma si è rivolta alle istituzioni ma il bambino non è stato creduto, e soprattutto non sono state avviate le procedure standard volte ad avviare le indagini e a proteggere il minore. “Anzi le istituzioni si sono accanite contro il bambino. Gianni è stato affidato ai servizi sociali e le istituzioni che non hanno saputo riconoscere i segni evidenti degli abusi ma hanno incolpato la mamma dei problemi di Gianni. Alla fine Gianni è stato allontanato dalla famiglia, nonostante non ci fossero indizi di maltrattamenti famigliari, ed è stato ricoverato in una casa famiglia”.
La motivazione del  provvedimento era stato che si volevano comprendere i problemi del bambino. “A questo punto”, ha proseguito De Fanti, “le cose sono precipitate e il bambino ha dato in escandescenze contro questo provvedimento assurdo, chiedendo di tornare dalla mamma. Le istituzioni, invece di cogliere le ovvie motivazioni dello stato del bambino, lo hanno trasferito in un reparto di psichiatria con un grave disturbo esplosivo del comportamento e dell’umore, sedandolo pesantemente con il Risperdal, un antipsicotico. Da notare altresì”, ha sottolineato De Fanti, “che secondo il foglio informativo non è raccomandato per l’uso nei bambini al di sotto di 18 anni con schizofrenia, per la mancanza di dati sull’efficacia”.  A questo farmaco i medici avrebbero aggiunto anche una dose di 1 milligrammo di Depakin,un antiepilettico. “Ma il bambino non soffre di epilessia e pertanto lo scopo di questo farmaco è solamente sedativo. In pratica, il bambino viene pesantemente sedato con due potenti farmaci in dosi da cavallo perché è un bambino di 7 anni che non può comprendere come mai viene sottoposto a questi provvedimenti coatti e che giustamente protesta”.
In realtà le ragioni del disagio del bambino sarebbero scritte nella stessa lettera di dimissioni firmata per il trasferimento alla struttura psichiatrica: “abuso subito da parte di una suora, separazione dalla madre per essere rinchiuso in comunità o in ospedale”. “Una struttura psichiatrica ad alto contenimento per minori, a nostro avviso, è semplicemente un piccolo manicomio per minori: da una prima valutazione sommaria sembra infatti avere le caratteristiche classiche del manicomio. Inoltre la Comunità accoglie pre-adolescenti e adolescenti, maschi e femmine, di norma tra i 12 e i 18 anni, con eventuale possibilità di anticipo a 8 anni, sulla base di specifici bisogni clinici o sociali. Quindi non è neppure adatta per un bambino di soli 7 anni. Questa vicenda incredibile nella “civile” Italia ci ricorda la storia di Carmela Cirella, la ragazzina di tredici anni che nel 2007 è volata giù dal settimo piano, dopo aver subito diversi abusi e violenze sessuali, ma soprattutto dopo aver constatato sulla propria pelle l’assoluta incapacità delle istituzioni, nel rispondere alle sue richieste di aiuto”.

 

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