Venite con noi nella Brescia dalle mille fontane

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fontanapiccola.jpgLe fontane di cortile, nei palazzi, nelle case più modeste, all’interno dei monasteri; semplici bocche d’acqua, veri monumenti o zampilli, tutti protesi a rallegrare il silenzio dei giardini; sgorgano in ogni casa, sullo scenario accattivante dell’ingresso o in un angolo del giardino o del brolo e si levano perentoriamente ad invocare l’originalità tutta bresciana di questo fenomeno.

di Sergio Re

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In de la Citadela de Bressa: imprima uno canò de fontana edificat in del mur dela Citadela de Bressa sopra el molì de porta Brusada per me el compartidor de l’acqua de quel molì, del qual canò ne usis la fontana chi è ne la cort di Bochi e da po si descor sotto al let de la Carza infina in deli casi de zamdré de Andriol di Ventola…

Non crediamo che valga la pena continuare.
Dobbiamo dire però che non siamo in presenza di una finzione letteraria che fa il verso all’incipit del romanzo manzoniano dedicato ai venticinque lettori. Questa relazione è vera, è stata rinvenuta e pubblicata anni fa dal Guerrini ed è datata 1339. Il che significa che già a quell’epoca esisteva a Brescia un condotto idrico per soddisfare le esigenze logistiche dell'insediamento urbano.
fontana9.jpgDifficile naturalmente riprendere il percorso del "canò" –  che intendiamo nel significato di "condotto" – nel suo serpeggiante rincorrere le bocche d’acqua distribuite nel cuore della vecchia città per portare a tutti il benefico umore che proveniva dalle scaturigini di Mompiano. Lo lasciamo fare agli specialisti, noi ci accontentiamo di sapere che a Brescia già nel XIV secolo non solo esistevano fontane pubbliche, ma il "canò" serviva numerose utenze private, quel Bochi, l’Andriol di Ventola e molti, molti altri, tutti puntigliosamente elencati nella relazione del perito comunale.
L’origine storica di questo gusto per le fontane nella nostra città si perde quindi nella notte dei tempi – ricordiamo almeno la tribolata storia dell’acquedotto romano che andava a raccogliere le acque in Val Gobbia – ma tuttavia ha scarsa possibilità di venir compiutamente documentato nonostante la vastità della sua frequenza architettonica. Il lavoro degli artigiani infatti – anche quando distinti per notorietà – veniva per lo più pattuito privatamente, a voce, e pagato magari con una mercede versata senza ricevute o fatture a fronte della assoluta ininfluenza delle testimonianze documentarie, e si perde così nel silenzio di ogni possibile ipotesi e supposizione.
fontana8.jpgE qui ci fermeremmo anche noi, salvo ricordare ancora – circa le lontane origini di questo gusto e di questa attenzione – che già in una mappa della città pubblicata nel 1706, in quel volume del Coronelli intitolato "Repubblica di Venezia in Terra Ferma", si possono contare ben 54 fontane pubbliche.
Il fatto è sicuramente di importanza capitale nella economia cittadina poiché si tratta di un indice incontrovertibile della attenzione municipale per i problemi igienici, logistici, industriali e – perché no – anche artistici.
L’interesse andrebbe veramente ampliato con uno sguardo più generale che abbracci la complessa regolamentazione delle acque che facevano capo alla città, ai suoi opifici, ai suoi mulini e alle sue industrie. Gran parte di queste bocche d’acqua pubbliche infatti non erano che semplici fontanili volti a soddisfare le necessità dei cittadini. Ben poche invece e concentrate nei pressi degli edifici pubblici e privati di maggior interesse politico, erano le vasche monumentali e le fontane vere e proprie il cui impianto scenografico, per quanto modesto, si levava a disdegnare l’umiltà della semplice pietra levigata dal faticoso lavoro delle lavandaie. Ma è questo un discorso che ci porterebbe decisamente troppo lontano.

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Tutto sommato però – se il ragionamento viene riparametrato sulla scala degli interessi che nei secoli scorsi orbitavano attorno alla distribuzione dell’acqua in città – non sembra l’indice della monumentalità quello più eloquente per misurare la vasta penetrazione nel tessuto storico cittadino dello zampillo d’acqua. Se è evidente infatti la ricchezza apportata dai fontanili e ancora più evidente quella delle vasche monumentali, il dato fondamentale al quale bisogna rifarsi per valutare nella giusta luce il complesso bresciano delle fontane, nonostante sia il più trascurato di tutti, è quello della capillare diffusione privata quando – beninteso – la bocca d’acqua nel proprio cortile era considerato un vero lusso.
La ricchezza del caso bresciano sono insomma le fontane di cortile, nei palazzi, nelle case più modeste, all’interno dei monasteri; semplici bocche d’acqua, veri monumenti o zampilli, tutti protesi a rallegrare il silenzio dei giardini; sgorgano in ogni casa, sullo scenario accattivante dell’ingresso o in un angolo del giardino o del brolo e si levano perentoriamente ad invocare l’originalità tutta bresciana di questo fenomeno.

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Da una rapida scorsa alla guida della città, pubblicata nel 1985 dal Bertoletti, che ne fa un meticoloso elenco, si contano all’interno del centro storico ben 336 di queste fontane private, altre 11 sono riservate ai chiostri di comunità monastiche e ben 39 sarebbero ancora quelle pubbliche. Qualcuna, sicuramente tra quelle meno appariscenti, sarà sfuggita alla rilevazione, ma 336 o 436 o più ancora, resta in ogni caso un interessante primato.
fontana7.jpgNon sappiamo in quali remoti spazi abbia sostato quel visitatore del XVII secolo che qui a Brescia immaginò di ritrovarsi in un angolo di paradiso, tanta era la grazia e l’abbondanza di questi giochi d’acqua, né immaginiamo in quale humus il Dotti, erudito del secolo XVIII, nutrisse la sua vena poetica per cantare: "Ruscello, Natural figlio dei Monti / Figlio Addottivo a la mia Patria viene. / E per amor si svena in cento Vene, / E sparte cento Vene in Mille Fonti. / A più Selci, a più Mura, empie le fonti / Che gettan per le vie piogge serene. / Dove, per ribaciar le amiche arene, / Par che l’acqua dai Marmi a terra smonti. / Da l’Occhio qui, non dal cammin, riceve / La Sete il pellegrino, e se a le sponde / Discende a ber, del vostro Amor s’inbeve".
Forse ai piedi della Pallata, dove l’opera del Bagnadore era già in sito nel 1596, o magari in piazzetta Labus tra lo scalpitio dei cavalli alla posta, frementi in attesa del cambio. L’uno e l’altro prestando orecchio al cicaleccio delle lavandaie o divertiti dai pettegolezzi e dai tiri birboni dei marmocchi che sciamavano attorno ai lavatoi, si saranno incamminati passo a passo, deliziati dagli sciabordii, disquisendo eruditamente lungo queste contrade su chissà quali problemi metafisici, mentre la quiete dei broli e dei giardini, intravisti dai cancelli e dai portoni, li invitava lontano dal rumore delle botteghe artigiane che si affacciavano sulla via.
fontana5.jpgÈ insomma un gusto che non manca qui a Brescia quello dell’acqua. Maturato da secoli di disponibilità e abbondanza, lo zampillo, il getto cospicuo, la cascata, sono effetti e complementi ai quali l’architetto ricorre sempre più frequentemente per arricchire e vivificare un palazzo. L’acqua scivola, s’impenna e frangendosi in mille spruzzi gorgoglia rompendo l’incanto dei larghi specchi che riflettono le nubi; oppure scende lisciando le valve di piccole conchiglie marmoree o si tuffa nell’azzurro del cielo per ricadere a pioggia nelle vasche e nei laghetti artificiali. Sprigionata da maschere, cornucopie o teste leonine, scaturita dalla bocca di un pesce o da una boccia di pietra o più semplicemente da una flangia marmorea applicata alla parete, ciò che conta è che l’acqua sgorga copiosa, ridendo, tra le pareti domestiche e divenendo ben presto un capitale inalienabile dell’abitazione bresciana.
fontana6.jpgL’architetto allora trae motivo per inserirne la dinamica, sin dallo studio progettuale, entro il copione scenografico del palazzo. Così la fontana si arricchisce e al di là dell’apporto semantico collegato ai tradizionali simboli festosi dell’acqua che si disciolgono nell’alito fresco della vegetazione o nella ricchezza delle messi biondeggianti, diviene centro monumentale del cortile al quale si lega con il complesso dei modellati ritmici. A questo punto Brescia é già la città delle "mille" fontane e, al di sopra del suo rumoroso complesso di attività spicciole, industriali, commerciali e ricreative, l’acqua scandisce il ritmo del tempo che passa e costituisce il segno della sua ricchezza.
È insomma un patrimonio vasto ed inimmaginabile questo delle fontane private, che si dispiega di cortile in cortile, di palazzo in palazzo. Un patrimonio che solo la paziente ricerca individuale saprà disvelare, con una indagine perseverante che purtroppo espone sempre chi la compie ai rischi di ogni indagine. Il portone chiuso, il rifiuto cortese e, più raramente, ma succede, l’allontanamento sgarbato; lo sguardo sospettoso di chi ti segue mentre vai di portone in portone; finché ti capita, e non è infrequente, di ritrovarti faccia a faccia con persone gentili e garbate che amano parlare della loro fontana e si lasciano poi andare al ricordo di fatti e aneddoti, sfumati dal tempo, che prendono l’abbrivo dalla fontana, dal cortile, dalla casa, divengono poi biografia personale e s’immergono spesso nella malinconia che l’anzianità ricama di vicende tristi o dolorose.
fontana2.jpgAccade così di scoprire giardini fioriti e fazzoletti di silenzio nel verde dei cortili, come lacerti di poesia dal sapore antico, proprio nel cuore di questa operosa città. Ma la ricerca, condotta nella realtà e non nell’immaginario delle fiabe, della realtà assume alla fine tutta la crudezza, portando inevitabilmente ad un interrogativo.
Non c’interessa tanto sapere quante sono ancora e dove si trovano le "mille" fontane della vetusta città di Brescia, ma ambiremmo sapere più semplicemente qual è ancora oggi il loro stato di salute. A fronte di quelle pubbliche, magari aggredite dalla inciviltà più che dall’incuria, ma tuttavia efficienti nella funzione di erogatrici d’acqua, riscontriamo invece un patrimonio privato di fontane quasi assolutamente mute.
In virtù della dignità che compete all’acqua e affinché rispuntino gli zampilli nei cortili ad alimentare lo specchio di quelle vasche dove si riflettono le nubi e dove passeri e le colombe si dissetano, affinché il verde di ogni specie riprenda vigore nei giardini, noi vorremmo oggi accendere una scintilla di fantasia. Ecco, forse presuntuosamente, queste poche immagini ambiscono proprio a questo.
Vorremmo insomma che le fontane fossero ancora segno ambito di distinzione, se ne rallegrerebbero i cortili, i bimbi tra un gioco e l’altro vi si disseterebbero e noi sosteremmo davanti ai portoni tendendo l’orecchio per discernerne l’allegro sciacquio… Ben attenti s’intende a non farci travolgere dai Suv che, noncuranti delle poetiche sinfonie dell’acqua, rombano sogghignando tra un marciapiede e l’altro del centro storico cittadino.
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