Prevenzione suicidi in carcere: c’è un piano regionale

Uno staffa multidisciplinare (carcerario e sanitario) predisporrà un piano individualizzato di presa in carico per il detenuto.

Brescia. Presa in carico del detenuto e il monitoraggio costante attraverso l’apporto di una squadra multidisciplinare. Più in generale, un’attenzione a 360 gradi nei confronti di chi si trova in carcere.
Va in questa direzione la delibera sull’aggiornamento del piano regionale lombardo per la prevenzione del rischio suicidario negli istituti penitenziari per adulti approvata lunedì dalla Giunta regionale della Lombardia su proposta della vicepresidente e assessore al Welfare Letizia Moratti. La Lombardia conta sul proprio territorio 18 istituti penitenziari sui 190 nazionali e nelle sue strutture c’è il maggior numero di persone sottoposte a regime carcerario.

Nota è poi la situazione bresciana, dove il carcere di Canton Mombello è, da anni, maglia nera per le problematiche di sovraffollamento che hanno spesso generato episodi di violenza o di autolesionismo, l’ultimo dei quali avvenuto solo qualche giorno fa.
Il sindaco di Brescia, nei giorni scorsi, ha incontrato il ministro della Giustizia Marta Cartabia presentando la necessità di un nuovo carcere cittadino, un’esigenza da lungo tempo avanzata, ma che, finora, non ha ancora trovato riscontro.

Solo nel mese di giugno,  secondo il sindacato di polizia penitenziaria, ci sono stati  8 suicidi e 6 tentativi di suicidio e anche 5 aggressioni ad agenti a settimana.
Sul fronte capienza a parlare sono i dati del ministero dell’Interno. Secondo un report online sul sito del ministero e aggiornato al 30 giugno, le nostre carceri possono ospitare fino a 50.900 detenuti ma in realtà  dietro le sbarre ci sono 54.841 persone. Per citare solo qualche esempio, i posti disponibili in Lombardia sarebbero 6.150 ma i reclusi sono 7.962.

«Il piano regionale approvato – ha commentato Moratti – utilizza la stessa metodologia risultata vincente e più volte citata dall’Organizzazione mondiale della sanità in riferimento alla Lombardia durante la pandemia: una stretta alleanza tra il mondo penitenziario e quello sanitario per prevenire i suicidi, purtroppo aumentati durante il periodo dell’epidemia, anche a causa delle restrizioni che hanno reso ancora più afflittivo il momento della carcerazione, è infatti necessario giocare in squadra».

L’indispensabile valutazione medica in base al piano deve essere accompagnata da una costante attenzione di tutto il contesto ai comportamenti del soggetto, soprattutto nei momenti più difficili della carcerazione. «Un momento di grande criticità – ha aggiunto l’assessore – è dato dall’ingresso in istituto e dall’inizio della vita detentiva, con la conseguente necessità di ambientarsi a un nuovo contesto. In quest’ottica le modalità di accoglienza rivestono particolare importanza e consentono una prima e immediata valutazione del rischio autolesivo e suicidario».

Il Piano ha come soggetti destinatari le Asst e le Ats sul cui territorio è presente un Istituto Penitenziario, il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e le Direzioni degli Istituti Penitenziari per adulti. I direttori delle strutture penitenziarie e sanitarie provvederanno a nominare per le rispettive competenze uno staff multidisciplinare, composto da rappresentanti del personale penitenziario (polizia penitenziaria, Funzionario Giuridico Pedagogico, Psicologi, Volontari) e sanitario (Medici della Struttura Penitenziaria, Personale infermieristico, Personale Asst del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze) qualificati e dotati di adeguati livelli di competenza e responsabilità.

«In base a colloqui e valutazioni, lo staff multidisciplinare nel più breve tempo possibile dovrà predisporre un programma individualizzato di presa in carico congiunta nel quale saranno indicati ulteriori interventi integrati degli operatori sanitari, di sostegno e di sorveglianza, secondo le necessità determinate dalle problematiche rilevate» ha osservato ancora Moratti. «Attraverso il dialogo e il confronto, personale sanitario, penitenziario, psicologi, volontari, ma anche i familiari, gli avvocati difensori e i magistrati – ha proseguito – dovranno essere in grado di cogliere anche il minimo segnale di disagio o campanello d’allarme».

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