Ospitalità ai profughi, non fu truffa: Scaroni assolto dalle accuse

Assolto dall'accusa di truffa ai danni dello Stato, per un valore di un milione di euro, l'imprenditore monteclarense che aveva vinto alcuni bandi pubblici per dare ospitalità ai richiedenti asilo.

Brescia. Non fu truffa ai danni dello Stato. Questo l’esito del processo a carico dell’imprenditore di Montichiari (Brescia) Angelo Scaroni, assolto con formula piena «perchè il fatto non sussiste».
Di cosa era accusato Scaroni? La Pcurroa della Repubblica, nel 2017, aveva aperto un fascicolo, con l’ipotesi di reato  di truffa ai danni dello Stato, per un valore di circa 1 milione di euro, relativi ad alcuni bandi pubblici (emessi dalla Prefettura di Brescia) che l’imprenditore si era aggiudicato nell’accoglienza ai profughi. Scaroni dunque avrebbe incassato la diaria prevista, di 35 euro, ma senza offrire di fatto i servizi che la gara pubblica imponeva all’aggiudicatario.

Secondo le indagini, alcune delle dichiarazioni presentate insieme alle domande sarebbero state fasulle e sarebbero mancati i requisiti necessari alle strutture (secondo gli inquirenti alcune di queste erano addirittura inesistenti) per poter garantire un’ospitalità adeguata gli stranieri richiedenti asilo.
Secondo il pm, a fronte di una capienza di 100 posti, Scaroni avrebbe invece “stipato” ben 250 ospiti, i quali poi sarebbero stati, secondo le accuse, poi cadute definitivamente con la sentenza emessa lunedì 26 settembre, abbandonati a se stessi, senza assistenza, senza seguire corsi di lingue e in condizioni di degrado.

L’imprenditore monteclarense era stato anche arrestato e posto ai domiciliari. Secondo la difesa dell’uomo, se ci fossero state inadempienze, la Prefettura le avrebbe rilevate e si sarebbe costituita parte civile, cosa che non ha fatto. Scaroni ha anche evidenziato di non essere stato pagato per i servizi svolti. La Procura gli ha creduto e lo ha assolto. Tra 90 giorni le motivazioni della sentenza.
Angelo Scaroni è stato poi condannato a tre anni e quattro mesi (pena patteggiata) per un’altra vicenda di corruzione, legata all’inchiesta principale: l’imprenditore avrebbe pagato un maresciallo della Guardia di Finanza in servizio al comando provinciale di Brescia per avere informazioni sul procedimento giudiziario in corso nel quale risultava imputato.

 

 

 

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