Caso Ubi, “Nessun patto occulto, accuse senza fondamento”

Le motivazioni della sentenza con la quale, l'8 ottobre scorso, sono stati assolti i 30 imputati nel processo per un presunto tentativo di aggirare la vigilanza sull'istituto di credito.

(red.) La sentenza dello scorso ottobre aveva stabilito che non ci fu alcun patto occulto tra bergamaschi e bresciani per dividersi il controllo di Ubi Banca, nata nel 2007 dalla fusione tra bresciana Banca Lombarda e Piemontese e la bergamasca Banche Popolari Unite, per aggirare la Consob e Banca d’Italia.
I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Bergamo hanno assolto tutti i protagonisti (una trentina) della vicenda processuale, durata oltre sette anni e che ha avuto, tra i protagonisti, il banchiere bresciano Giovanni Bazoli, imputato, tra gli altri, per  presunte irregolarità nella gestione di Ubi prima della fusione con Intesa Sanpaolo.
Per l’ex ad di Ubi, Victor Massiah, invece, per lo stesso reato, il Tribunale ha deciso il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.
Unica condanna a 1 anno e 7 mesi per Franco Polotti, al quale è stata tuttavia contestata la sola omessa comunicazione a Consob – unica parte civile ammessa – relativa ad un conflitto di interesse, riguardante una società a lui riconducibile.

A tre mesi dalla sentenza, come riferisce Il Giornale di Brescia, tra le motivazioni della sentenza emessa l’8 ottobre, emerge l’evidenza che sia Banca d’Italia sia Consob fossero al corrente dell’atto di fondazione dell’istituto di credito, ma anche delle operazioni effettuate successivamente. Nè vi furono ostacoli alle funzioni di vigilanza esercitate da entrambi gli enti.
Le motivazioni della sentenza di assoluzione per i 30 indagati nell’inchiesta sono contenute in 268 pagine, in cui viene smontato, pezzo per pezzo, il castello accusatorio sostenuto della procura di Bergamo.

Per la fusione tra i due istituti di credito, scrivono i giudici, vennero valutate condizioni di pariteticità, così da assicurare ai due enti bancari «la perfetta parità di rappresentanza negli organi sociali e di vertice della nascente Ubi».
Banca Italia, inoltre, vigilò sulle modifiche apportate nel 2009 dall’ente creditizio e l’assenza di ostacoli alla vigilanza si evince, secondo i giudici, in due mail, prodotte in sede giudiziaria dai legali di Bazoli, nelle quali viene ribadito il concetto di pariteticità adottato per le nomine insieme con la notizia che Banca d’Italia aveva dato il «via libera» alla bozza del nuovo Regolamento del Comitato Nomine, senza sollevare eccezioni.

Per i giudici risulta quindi evidente che non ci fu, da parte di Ubi, la volontà di tenere all’oscuro gli enti di vigilanza sulle procedure in corso.
Per il Tribunale di Bergamo, inoltre, è accertato che tutte le nomine vennero verbalizzate dal Consiglio direttivo e, come obbligo dello statuto, trascritte e vidimate da un notaio nel libro dei verbali.
Per i giudici orobici, dunque, «l’ipotesi accusatoria è destituita di fondamento» e il tribunale non ravvede la «necessità di approfondire i ruoli soggettivi rivestiti dagli imputati nel corso dei processi dialettici tra la
Banca e le Autorità di Vigilanza».

 

 

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