Coronavirus, dna spiega casi gravi. Su Science lo studio con Unibs e Civile

L'Università e l'ospedale fanno parte di un team internazionale di ricercatori che ha compiuto la scoperta.

(red.) Se una serie di pazienti ricoverati negli ospedali dopo aver contratto il Covid-19 hanno avuto reazioni decisamente più gravi e pesanti rispetto ad altri la risposta è nel dna. E’ quanto pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Science da un consorzio internazionale di ricercatori di cui fanno parte anche l’Università degli Studi di Brescia e gli Spedali Civili. Dal punto di vista scientifico, anche attraverso i campioni biologici e dati clinici forniti dal massimo ospedale cittadino bresciano, si è scoperto che chi non presentava delle proteine determinanti per proteggere l’organismo dai virus influenzali è stato più esposto alle gravi conseguenze del contagio da Covid.

Il team, che ha visto collaborare anche altri ospedali lombardi insieme al direttore sanitario del Civile Camillo Rossi e alle realtà americane, ha rilevato nei soggetti che hanno patito maggiormente la presenza del virus in corpo la presenza di alcuni difetti genetici e alterazioni immunologiche che compromettono la produzione di queste proteine fondamentali e la risposta a queste molecole. Sono stati analizzati i dati di 660 pazienti acuti e di cui il 95% uomini proprio per accertare il fatto che nelle persone di sesso maschile la forza del Covid è stata più virulenta. In molti dei materiali biologici sono emerse alterazioni a carico di 13 geni noti per essere essenziali nella risposta al virus influenzale e ad altri virus.

Il 3,5% dei pazienti presentava difetti importanti nella produzione di queste proteine o nella risposta cellulare. Più del 10% dei soggetti analizzati aveva anticorpi spontanei che bloccavano l’attività di queste proteine protettive. Uno studio, quello pubblicato su Science, fondamentale per capire come muoversi in futuro. Per esempio, i soggetti in cui le proteine protettive dai virus mancano possono essere loro somministrate nella parte iniziale della malattia o si può pensare a terapie e farmaci che possono eliminare la produzione dei particolari anticorpi che bloccano il “lavoro” delle proteine.

Come detto, alla ricerca hanno collaborato anche altri ospedali lombardi come il San Gerardo di Monza e il Policlinico San Matteo di Pavia fornendo dati a Luigi Notarangelo ed Helen Su del National Institute of Allergy and Infectious Diseases di Bethesda diretto da Anthony Fauci e Jean-Laurent Casanova del St. Giles Laboratory of Human Genetics of Infectious Diseases della Rockefeller University di New York. Il team che si è sviluppato, il “Covidhge”, vede il Civile aiutato da un finanziamento della Regione Lombardia attraverso lo scambio tra il Laboratorio di analisi chimico cliniche e di altre Unità operative come Malattie Infettive, Nefrologia, Ematologia, Prima Rianimazione e e quella di Sclerosi multipla. Allo studio hanno partecipato anche l’Università Tor Vergata e l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, l’ateneo di Padova e il San Raffaele di Milano.

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