Coronavirus, si sperimenta plasma dei guariti per curare malati

L'oncologo bresciano Santin lancia un appello all'Aifa. E dall'Avis: ok aprire le sedi per far donare sangue ai guariti.

(red.) Quella di infondere nei pazienti malati di Covid-19 il plasma del sangue di quelli che sono guariti è una pratica che, dopo la Cina e gli Stati Uniti, si sta sperimentando anche in Italia, per esempio a Mantova e al San Matteo di Pavia. Non a caso, al “Carlo Poma” di Mantova una ragazza di 28 anni – riconosciuto come primo caso al mondo – è guarita proprio grazie alla trasfusione del sangue dal plasma dei guariti. Una soluzione legata al fatto che nella parte più liquida della traccia ematica sono presenti gli anticorpi.

Il disagio che si sta avendo è che sarebbero troppo pochi gli ospedali italiani autorizzati a sperimentare il trattamento e per questo motivo l’oncologo e immunologo bresciano Alessandro Santin, dirigente di un centro di ricerca alla Yale University, in un’intervista al Giornale di Brescia lancia un appello all’Aifa. “Il plasma delle persone guarite al momento è l’unica arma efficace che ci permetterà un reale cambio di gioco nella lotta al Coronavirus – dice al quotidiano bresciano – non è una suggestione, ma un metodo supportato da solide basi scientifiche. È necessario agire in fretta, nella prima settimana dalla comparsa dei sintomi.

L’unica cura efficace, al momento, è quella dell’immunizzazione passiva che si ottiene infondendo il plasma dei guariti in grado di fornire immediatamente gli anticorpi neutralizzanti e subito dopo l’infusione il paziente è già protetto. Serve uno studio allargato a livello nazionale”. E su questo fronte chiede anche la collaborazione dei centri di raccolta del sangue, in primis l’Avis.

Non a caso il presidente nazionale dell’associazione, il bresciano Gianpietro Briola, si dice disponibile ad aprire tutte le sedi, comprese quelle bresciane, per consentire a chi è guarito di donare il sangue. E la stessa Avis dice di stare lavorando con il Centro nazionale sangue alla produzione di un farmaco, che dovrebbe essere disponibile entro la fine del 2020, composto degli anticorpi dei guariti. Ma deve trattarsi, come rimarca lo stesso Briola, di una cura sperimentale e temporanea.

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