Coronavirus, i medici bresciani chiedono un cambio di passo

In un lungo documento i dottori chiedono di essere coinvolti attivamente per riprogettare la sanità nel breve periodo.

(red.) Perché oggi, quando non siamo ancora entrati nella fase 2, e tanto meno possiamo dire che il peggio è passato, un documento su COVID 19 dell’Ordine Professionale dei medici di Brescia?
“E’ il tempo giusto. Giusto perché lo dobbiamo alla nostra gente che nelle corsie, negli ambulatori, nelle case ha lasciato la vita, ai tanti che, da curanti, sono diventati malati. E non è finita. Giusto perché lo dobbiamo alla nostra gente che, domani, domenica, il 25 aprile, il primo maggio, di giorno, di notte, continuerà a fare il proprio lavoro, incurante delle poche risorse e mettendoci l’unica arma che possiede. La passione che non ti fa contare le ore, che ti costringe, per settimane, a vedere i tuoi figli sullo schermo di un PC. La passione che non avresti mai voluto che ti costringesse a scelte dolorose che ti segnano dentro, e che ti ritorneranno in mente per anni, anche quando la tempesta sarà passata e non sappiamo come”. Interessante documento dell’ordine dei medici di Brescia, che chiede alle istituzioni un tavolo immediato per un confronto sulle scelte legate al coronavirus; scelte che ormai non si possono più procrastinare. Ecco il documento integrale

 

La Lombardia si è trovata a far fronte ad un improvviso, impressionate carico di malati di una patologia che conoscevamo poco o niente. Gli ospedali sono diventati tutti COVID, fino a più di 800 malati del nostro più grande ospedale, dove in pochi giorni si sono quadruplicati i letti di terapia intensiva, ma tutti, da Desenzano ad Esine, hanno dovuto far fronte ad un’emergenza epocale mai vista.

E intanto i medici di famiglia con 20-30 malati a casa improvvisamente con la febbre, i pediatri con le pressanti domande dei genitori, i medici di continuità assistenziale incalzati dalle richieste della gente. Abbiamo chiesto ed ottenuto, di fronte allo sconcerto ed alla richieste di indicazioni cliniche, un tavolo tecnico ad ATS, ancora attivo, che ha diffuso ed aggiornato preliminari linee di comportamento.

Non vi sono stati altri momenti di confronto perché non esisteva un luogo deputato. Quasi inutile ricordare che questo Ordine lo chiese a tutte le istituzioni il 22 febbraio, il giorno dopo il paziente 1. Ma il disagio è reale e si è sentito forte e diffuso.

Ha retto il sistema? Sì, perché ancorato ai suoi principi di solidarietà ed universalità per cui tutti o quasi tutti hanno trovato chi se ne è preso cura. Perché hanno trovato la nostra gente. “quanto resta della notte?” Tutti noi cerchiamo o speriamo di intravedere una luce, se pur tenue, e forse c’è. Intanto è ancora buio, ma non ci si può rassegnare a brancolare.

Ed ecco allora alcuni temi su cui vorremmo aprire, ora, subito, un confronto costruttivo con le istituzioni per l’oggi e il prossimo futuro, considerando i limiti di una situazione in continua evoluzione e cambiamento, che necessiterà di periodici aggiornamenti.

Tavolo di coordinamento. C’è un fatto che ci insegna il passato e che il presente non ha per niente considerato. Qual si voglia intervento in sanità che non coinvolga chi ci lavora è destinato, se non a fallire, ad essere poco efficace (The complexities and successes of the NHS, Kamran Abbasi executive editor BMJ 2018). Abbiamo navigato a vista, per niente coordinati, a tutti i livelli, spesso ignorando le istanze e le sollecitazioni di chi, sul campo, si confrontava con COVID 19.
E’ perciò essenziale riproporre, con determinazione, un tavolo di coordinamento permanente con tutti gli attori (istituzioni, comuni; aziende; ATS e medici, infermieri etc.), che si riunisca periodicamente ed analizzi i problemi emergenti e le prospettive di breve e medio periodo. E pur si muove! Mentre scriviamo sembra che in tal senso sia in fieri un’iniziativa di ATS. Sarebbe già un primo, preliminare, ma importante risultato.

Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA). Nelle RSA si è avuta una mortalità largamente superiore alla media attesa. Sappiamo COVID 19 è particolarmente letale nelle classi di età più avanzate e nelle situazioni di fragilità. Altri fattori hanno inciso in modo rilevante. Dalla mancanza di indicazioni sulla gestione dei Dispositivi Individuali di Protezione ed alla carenza degli stessi, specie nelle prime settimane dell’epidemia, alle modalità di corretto isolamento dei pazienti sospetti. Ed ancora la difficoltà di accesso al ricovero ospedaliero e la non disponibilità di test diagnostici (tamponi naso faringei), con conseguente mancato isolamento e mancata prevenzione dell’infezione sugli altri ospiti e personale. Queste, anche dai dati della letteratura, le ragioni di maggior impatto. Ed infine, ma non ultimo, nelle condizioni sopra descritte in casi particolari, il trasferimento di pazienti accettati dagli ospedali.
Quali strategie in campo nel breve e medio periodo? Analisi epidemiologica della situazione sugli ospiti e personale (Tamponi più Sierologia) per definire l’attuale entità della diffusione dell’epidemia, da cui derivare le necessità di incremento delle risorse umane e le necessarie riorganizzazioni anche strutturali.
Ed ancora, non ultimo, studiare soluzioni che evitino che “i numeri nascondono gli individui, le loro storie e che persone muoiono sole nelle RSA e negli ospedali. Non hanno familiari al loro fianco. Li guardiamo impallidire e mancare attraverso le maschere”. Nell’acme dell’emergenza abbiamo, forzatamente, accettato queste situazioni estreme, ma si devono studiare rimedi che ridiano il senso indispensabile della relazione parentale ed affettiva nel momento del dolore finale.


Programmazione della gestione territoriale delle fasi successive della pandemia da COVID19. 
Ipotizziamo 3 scenari: popolazione normale (fase pre-infettiva o non infettiva), popolazione in fase di malattia e popolazione non guarita ma dimissibile dall’ospedale.

Sulla popolazione normale si dovrebbero attuare campagne di prevenzione ed educazione (Materiale informativo stampato, App specifica con documenti disponibili per la popolazione ed eventuale score sintomatologico, campagne informativo/educative in ambito locale da parte di ATS, dei MMG e anche dei di comuni e campagne vaccinali programmate e intensificate, anche COVID, se disponibile). Si consideri per esempio l’importanza della vaccinazione antinfluenzale in specie in età pediatrica come sollecitato dagli stessi pediatri di famiglia. Un’importante area di intervento, ancora preclinico, riguarda la formazione del personale sanitario.
Strumenti di formazione in relazione a diagnosi precoce (Sviluppo di eventuali SCORE/red flags specifici per COVID, utilizzo dei DPI (spesso abbiamo rilevato carenza di addestramento su corrette modalità di impiego) ed ancora prevenzione dei rischi professionali sia per il medico e personale sanitario che per i pazienti.

Il ruolo delle diverse agenzie (ATS/ASST/Comuni…) sarà determinante?
Censimento e predisposizione di strutture adeguabili alle situazioni di emergenza e progettazione di APP informativa e di screening per la popolazione. Sono poi di rilievo essenziale la creazione di canali di comunicazione privilegiata e tempestiva tra ATS e medici del territorio e la sburocratizzazione e semplificazione delle procedure certificative e di ricettazione.

Sulla popolazione in fase di malattia, considerando il carico di lavoro specifico che grava sul medico (sospetto e diagnosi precoce, gestione del paziente malato a domicilio, gestione dei contatti a rischio, attività certificativa e burocratica, comunicazione tra MMG – CA – Specialisti – ATS – ASST ed indicazione ricovero), si deve prevedere obbligatoriamente un riassetto organizzativo interno per la Medicina generale che consenta di attuare rapidamente il passaggio dalla fase “normale” della propria attività a quella “speciale” dell’epidemia. Va infine ipotizzato un percorso comune di gestione dei casi sporadici ad epidemia controllata. Si tratta di una questione importante in quanto strumento fondamentale per la prevenzione della ripresa epidemica.
La popolazione non guarita ma dimissibile dall’ospedale presenta due possibili iter. La gestione a domicilio che prevede preventiva valutazione della praticabilità (condizioni abitative e disponibilità di adeguata assistenza in loco).
In alternativa, ove non si realizzino queste condizioni, è più razionale l’utilizzo di presidi territoriali (degenze di sorveglianza).
La popolazione guarita con postumi prevede la programmazione di nuovi modelli di assistenza socio-sanitaria con modalità e tempistiche da definire (si pensi alle sindromi gravi post terapia intensiva) con PDTA specifici, potenziamento delle possibilità di riabilitazione domiciliari, individuali e di gruppo e specialistiche in strutture anche con degenza.
La priorità attuale della Medicina Generale rimane, comunque, il paziente cronico, forzatamente trascurato ai tempi del COVID 19, e il medico di famiglia deve ritornare a occuparsi della fragilità, compresa la “nuova fragilità” indotta dai postumi dell’infezione virale acuta.
Il tema di come ristrutturare la Medicina territoriale e renderla in tempi brevi più efficiente in presenza di una pandemia è certamente di difficile attuazione. Ma proprio per questo si deve aprire da subito un tavolo di confronto sulle azioni da intraprendere in ragione di questi obiettivi.

Ospedali o strutture COVID dedicate: intramoenia o extramoenia? Dove collocare le strutture COVID dedicate in questa fase dell’epidemia che pare, fortunatamente, in fase calante, è analisi ardua in quanto non disponiamo di proiezioni attendibili.
Sappiamo che quantitativamente, ma empiricamente, il numero di casi sul territorio è significativamente diminuito e parimenti gli accessi nei Pronto Soccorso. Sempre empiricamente pare (?) si assista ad una minore gravità dei pazienti ricoverati (diagnosi domiciliari più precoci in relazione alla progressiva conoscenza della malattia? Terapie? Altro?).

Possiamo cercare di definire la varia tipologia dei pazienti.
Pazienti COVID 19 di nuova diagnosi, presumibilmente in numero contenuto
. In questo scenario tutti dovranno essere sottoposti a test diagnostici, isolati e si dovranno individuare i contatti.
L’isolamento dei pazienti, se pur con sintomi lievi, non sempre si può realizzare a domicilio per ragioni sociali. Qui la soluzione potrebbero essere strutture dedicate a bassa intensità assistenziale ma che consentano un monitoraggio clinico rigoroso. Quindi l’accesso alle strutture, previste dalla Regione, di degenza di sorveglianza sarà garantito anche a questi malati?

Malati a media intensità e malati ad alta intensità che necessitano di ricovero ospedaliero. Con quali criteri di definizione ed in quali strutture dedicate?
Non vi è risposta certa, semplicemente perché non abbiamo i numeri, non conosciamo le proiezioni dell’epidemia. Sappiamo, o meglio speriamo, che in Lombardia arriveremo a zero casi il 26 di giugno. (Roma, 20 aprile 2020, Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni).
Con queste prospettive anche chi sosteneva l’utilità primaria di una struttura COVID 19 extra moenia modulabile e con presenza delle varie tipologie di pazienti si pone dei dubbi seri, ma ancora ripetiamo dipende dai numeri. Il dibattito è aperto.

Ed ancora sta crescendo una popolazione di pazienti possibili COVID con patologie indipendenti o conseguenti (patologia cerebrovascolare e cardiaca per esempio) che dovranno trovare collocazione sicura per il rischio infettivo, che però non esclude l’indispensabile utilizzo, se pur limitato, di strutture specialistiche fuori dall’area COVID stessa.

Quante strutture di questo tipo in provincia? Abbiamo lasciato questo argomento per ultimo perché la sua indeterminatezza è lo specchio di una patologia la cui conoscenza è in continuo divenire.

***

Questa nota vuole, in definitiva lanciare un appello alle istituzioni perché ci diano risposte, in dissenso anche dalle nostre proposte, ma basate su motivazioni tecniche e scientifiche solide.

In queste settimane l’Ordine, come è doveroso, ha volentieri interloquito con tanti colleghi. Abbiamo ascoltato tutti: ospedalieri, medici e pediatri di famiglia e tanti altri, di tutte le nostre realtà, ed abbiamo cercato di essere interpreti con le istituzioni delle loro istanze ed esigenze. La nostra Commissione Albo Odontoiatri si è mossa, di concerto, con attivismo e pronta capacità di intervento.

Abbiamo formulato e reiterato richieste, ottenendo a volte risultati ed a volte insuccessi, ma vi è una condizione su cui non siamo più disposti a transigere. Oggi è il tempo di un radicale, indispensabile cambio di passo.

Di fronte ai cambiamenti del sistema sanità che ci aspettano, e non solo legati all’emergenza che viviamo, i medici e tutti gli operatori della salute devono essere coinvolti nella progettazione e nella realizzazione di ogni riforma e non, come è avvenuto anche in queste settimane, ritrovarsi semplici esecutori di scelte, anche professionali, non condivise.

La politica ha il dovere e la responsabilità di decidere, ma se non ascolta chi in questi mesi ci ha messo mente e corpo fino allo stremo ed ha consentito al sistema di reggere, rischieremo la perenne emergenza e il declino. Ed infatti il dibattito è naturalmente, e doverosamente, aperto alla comunità medica bresciana che ha nelle proprie corde tutte le qualità per fornire contributi utili e di valore.

Gruppo di lavoro per il Consiglio Direttivo dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Brescia

Luisa Antonini Gianpaolo Balestrieri Angelo Bianchetti Germano Bettoncelli Ottavio Di Stefano Giovanni Gozio Adriana Loglio Bruno Platto Umberto Valentini

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