Dentisti bresciani sul coronavirus, serve una “patente di immunità”

Secondo gli odontoiatri i sanitari dovrebbero ripetere periodicamente i test. "I contagiati asintomatici lavorino in ambienti Covid".

(red.) ANDI Brescia e gli oltre 600 odontoiatri che rappresenta hanno letto con interesse le proposte della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri del 6 aprile 2020, sottoscritte da tutti i presidenti provinciali ed indirizzate a Regione Lombardia e singole ATS. Non intendono entrare nel merito della corrispondenza che ha destato vivaci repliche e contro-repliche perché non su quello vogliono focalizzare l’attenzione.
Il Presidente Giovanni Roveglia è costruttivo: “Semmai desideriamo sottolineare l’adesione responsabile e pressoché unanime della categoria al principio della sospensione dell’attività, garantendo la disponibilità alla gestione di urgenze e terapie indifferibili. “Naturalmente la professione odontoiatrica si troverà a breve a confrontarsi con la quotidianità dei trattamenti elettivi, che nella branca sono la preponderante maggioranza”. Prosegue Roveglia: “Rivendichiamo una propensione ed una formazione particolari per la gestione del rischio biologico che rappresenta sempre un fattore da contrastare con le adeguate misure che ciascuno studio mette in atto, anche in periodi non emergenziali”.

 

Naturalmente, data l’eccezionalità della pandemia in atto, si tratta di capire se il contributo a favore della prevenzione delle infezioni crociate, e segnatamente di quella da Covid-19, possa ulteriormente essere incrementato e come. Il membro dell’Esecutivo e tesoriere ANDI Brescia Gianmario Fusardi è determinato: “A questo proposito troviamo estremamente pertinente la proposta che leggiamo nella corrispondenza in questione, dove si richiede di estendere agli operatori sanitari quei test sierologici di cui si discute in questa fase del dibattito pubblico, una volta che gli stessi siano validati”.
Recita in particolare la lettera dei Presidenti ordinistici: “Per quanto riguarda gli operatori sanitari, la proposta è di sottoporre tutti a test rapido immunologico, una volta ufficialmente validato e, in caso di riscontro di presenza anticorpale (IgG e/o IgM), sottoporre il soggetto a tampone diagnostico. In caso di positività in assenza di sintomi potrebbe essere da valutare la possibilità, in casi estremi con l’attribuzione di specifiche responsabilità e procedure, di un’attività solo in ambiente COVID, sempre con protezioni individuali adeguate. Il test immunologico andrebbe ripetuto con periodicità da definire negli operatori sanitari risultati negativi”.

Fusardi rilancia: “Esistono sul mercato una serie di prodotti che, sebbene non idonei ad effettuare la diagnosi dell’affezione e quindi poco utili nella prima fase epidemica, potrebbero risultare adatti a individuare chi è stato a contatto col virus e chi no mediante dosaggio delle IgG/IgM, in questo modo indirizzando ad un secondo e più stringente tampone diagnostico solo chi sia risultato positivo allo screening. Chi – evidentemente la maggioranza – risultasse negativo al tampone potrebbe naturalmente tornare alla piena operatività contando sulla “patente di immunità” (usiamo questa locuzione anche se conosciamo le riserve dell’OMS in merito alla stessa) mentre chi fosse qualificato positivo dovrebbe permanere in condizione di isolamento domiciliare per il tempo che l’evidenza scientifica o, in mancanza di questa, la prudenza hanno identificato come necessario a superare tale condizione (15 giorni, in ipotesi). Naturalmente per il buon esito della sorveglianza epidemiologica in oggetto molto dipende dall’efficacia dei test, anche in termini di alta sensibilità, specificità e facilità di somministrazione. Anche una nota azienda varesina del settore biotech sta portando a conclusione il progetto per ottenerne uno in collaborazione con l’Università di Pavia, quindi è da ritenere che il traguardo sia prossimo ad essere raggiunto, un traguardo tutto lombardo vorrei sottolineare. Desideriamo porgere il nostro contributo come cittadini e come medici per rafforzare ulteriormente l’affidabilità della professione odontoiatrica che, sebbene svolta privatamente, si caratterizza come servizio aperto al pubblico”.

 

Per poterlo fare è necessario considerare i dentisti quali operatori sanitari “di serie A”, includendo in tale protocollo le altre figure del team (igienista dentale e Assistente di Studio Odontoiatrico in primis). La risposta di Regione Lombardia dell’8 aprile 2020 attraverso le parole dell’Assessore Giulio Gallera fanno confidare in un passo imminente: “Ribadisco che l’argomento è da tempo all’attenzione della Direzione che, d’intesa con alcuni esperti del nostro sistema ospedaliero e universitario, sta valutando l’affidabilità di vari kit diagnostici“. “Se il percorso è avviato, si può collaborare per l’obiettivo”, concludono i vertici ANDI Brescia.

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