‘La bicicletta verde’, storia di ribellione in rosa

Protagonista del film una ragazzina anticonformista in Arabia Saudita e che diventa specchio della condizione femminile nel mondo islamico integralista.

(red.) Il film scelto questa settimana da quiBrescia.it per la recensione è “La bicicletta verde” (nelle sale già da qualche giorno) di Haifaa Al-Mansour; voto: ** e mezzo

di Daniel Gallizioli

Immersa nell’ Islalismo più profondo, in quell’ Arabia Saudita integralista e profondamente radicata nella cultura maomettana, la piccola Wadjda (Waad Mohammed) cresce con la madre (lasciata dal marito perché incapace di avere figli maschi)  in un ambiente ostico e misogino. Tuttavia, con brillante furbizia ed enorme pervicacia, riesce a conservare gelosamente  i propri desideri e passioni che vanno dalla musica rock ai videogiochi, contrari al canonico modello di comportamento e moralità di una virtuosa donna musulmana.
Simbolo di questa contrarietà e irriverenza giovanile sono le calzature della ragazzina, unica ad indossare un paio di “Converse” colorate invece dei classici sandali delle sue compagne di scuola. Secondo la visione comune è bene che le donne non usino la bicicletta poiché rischiano di rimanere sterili ma la giovane Wadjda non desidera altro e vuole riuscire ad averne una per sfidare l’ amico Abdullah (Algohani). Ma il prezzo è troppo alto e la madre non se la può permettere. Sarà in questo modo che la ragazza comincerà ad intensificare la sua attività di composizione di braccialetti che vende clandestinamente all’ interno della scuola esclusivamente femminile. Ma i profitti non bastano  e  la gara di Corano di lì a pochi mesi, che prevede per la vincitrice un premio di mille corone, sembra un’ occasione perfetta per realizzare il proprio sogno, sebbene lei non sia una studentessa modello e la preside della scuola sia ferventemente contraria alle sue abitudini.
Il film racconta l’ angosciante situazione femminile islamica e impersonifica  quel naturale desiderio di emancipazione e libertà nelle giovanili  forme di una bambina coraggiosa che senza violenza diventa simbolo accattivante di una rivoluzione individuale, fatta di indipendenza e caparbietà. Pellicola di condanna che crea una vero e proprio parallelismo tra il retrogrado fanatismo islamico e la dolce evasione di una piccola ribelle.
Opera armonica che prende quota progressivamente, in particolare nel finale, raggiungendo un buon ritmo sceneggiativo, influenzato chiaramente dal Cinema americano e dalla commedia  statunitense, sia nell’ utilizzo della cinepresa che nello sviluppo dell’ intreccio. Aspetto che rende la trama a tratti prevedibile e presumibile dallo spettatore, malgrado una forte organizzazione profilmica carica di realismo. La durata di non più di 100′ porta inoltre alla concentrazione di un gran numero di  atteggiamenti  e tendenze sociali antifemministe e conservatrici che in alcune occasioni appaiono forzate perché descritte e citate troppo frequentemente nella quotidianità ma, essendo un film presentato soprattutto ad un pubblico occidentale, questo aspetto narrativo si rivela anche un ottimo strumento conoscitivo.
Il film è stato infatti presentato e apprezzato all’ ultimo Festival di Venezia e patrocinato per i forti contenuti umani  dalla  Amnesty Italia.  Opera prima di  Haifaa Al-Mansour,  prima vera regista donna d’ Arabia, anche se la sua formazione si è divisa fra Cairo e Sidney ,  che ha realizzato vari cortometraggi e documentari sulla condizione della donna islamica, accusando a più riprese la visione culturale del suo stato e  dando voce a quelle donne che vorrebbero uscire dalla loro condizione e  liberarsi dalla loro occlusione. Segnali rivoluzionari che la regista esprime chiaramente nella protagonista Wadjda ma anche in gran parte delle ragazze del suo istituto che leggono riviste, usano smalti e non utilizzano sempre il velo. Comportamenti molto  gravi e  puniti  severamente da castighi che  vengono silenziosamente e amaramente condannati lungo tutto la pellicola da una macchina da presa che mette in risalto in più occasioni anche la profonda ipocrisia che si nasconde negli organi di controllo, impersonificati dalla terribile preside dell’ istituto.
Buon prodotto straniero distribuito a singhiozzo in Italia grazie alla Academy2 e , per ora, pochi incassi. Puntuale la programmazione del Cinema “Metropol” di Brescia che si dimostra di nuovo una delle migliori  e più attente sale del Bresciano nel proporre importanti opere cinematografiche attuali.

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