Caso Bozzoli, l’esperimento nel forno “ha parlato”

Dal test giudiziale disposto dalla Corte d'Assise di Brescia sarebbero emerse alcune indicazioni utili, ma anche alcuni interrogativi per i quali si attende la risposta dei periti.

Brescia. L’esperimento nel forno fusorio della Gonzini a Provaglio d’Iseo, disposto dal tribunale di Brescia in seno al processo per la scomparsa di Mario Bozzoli, il 50enne contitolare dell’omonima fonderia a Marcheno, di cui non si hanno più tracce dall’8 ottobre del 2015 e per la cui (presunta) morte è alla sbarra il nipote Giacomo, ha offerto alcuni spunti per il procedimento in corso, ma pone ulteriori interrogativi sulle presunte responsabilità dell’unico imputato.
Nel forno è stato infatti bruciato un maialino di 13 chilogrammi, già morto (un punto su cui si è scatenata una ridda di polemiche da parte del mondo animalista) con l’obiettivo di simulare, in modo verosimile, cosa accade ad un corpo (e quali condizioni esterne si verificano) quando viene bruciato in un forno fusorio.
L’assunto della Corte d’Assise è che il cadavere di Bozzoli possa essere stato cremato dopo l’omicidio, nel forno della fonderia valtriumplina.
Al termine del test giudiziale, nel forno di Provaglio sono rimasti  quattro chili tra scorie e resti. Per il completo raffreddamento dei resti dell’animale ci sono volute tre ore.

mario bozzoli

Nel forno di Marcheno non vennero ritrovati resti dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, incaricata dalla Procura di analizzare eventuali resti carbonizzati dell’uomo rimasti nell’impianto.
Il tempo di raffreddamento necessario porrebbe l’imputato lontano dalla fonderia, dove, secondo la Procura, l’omicidio sarebbe stato commesso in un lasso di tempo ristretto, tra le 19.13, orario dell’ultima telefonata di Bozzoli alla moglie, in cui le annunciava che avrebbe fatto una doccia prima di rientrare a casa dove era atteso per recarsi ad una cena al ristorante, e la chiamata che Giacomo Bozzoli fa alla compagna, alle 19,25. L’imputato avrebbe poi preso l’auto alle 19,33, facendo rientro dieci minuti dopo e uscendo nuovamente alle 19,55.
Giacomo non avrebbe quindi potuto, in base agli orari dei suoi spostamenti, eliminato l’eventuale cenere prodotta dalla cremazione dello zio.

Un dato rilevante emerso dall’esperimento è che, introducendo la carcassa del maiale non si è verificato alcuno scoppio, mentre si sono sollevate fiamme molte alte, aspetto che non si sarebbe verificato a Marcheno dove, tuttavia, venne registrata un’impennata anomala della temperatura nel forno.
L’analisi dei resti, raccolti dal medico legale Camilla Tattamanti, incaricata dal presidente della Corte Roberto Spanò di verificare la presenza o meno di Dna del maiale dopo la cremazione, è attesa per giugno.
Secondo gli esperti difficilmente il profilo genetico resisterebbe a temperate portate sopra i 250 gradi.
La soluzione del giallo, al momento, pare ancora lontana.

 

 

 

 

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