Parolo: Eusalp per il rilancio delle nostre valli

Il sottosegretario alla Montagna di Regione Lombardia plaude alla nascita della macro regione alpina: "Alpi territorio omogeneo da promuovere".

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di Vittorio Prestini

Sviluppare il sistema montagna, tutelando le realtà locali e prendendo spunto da altri Paesi europei che hanno dovuto affrontare prima dell’Italia una serie di problematiche che rischiavano di impoverire il territorio. Già, ma in che modo è possibile innescare un processo virtuoso per le nostre valli alpine?

Ugo Parolo, valtellinese, sottosegretario alla Montagna della Regione Lombardia è stato delegato dal governatore Roberto Maroni come facilitatore dell’Eusalp, la macroregione alpina recentemente riconosciuta dall’Unione europea, che nei prossimi mesi metterà in connessione le zone settentrionali dell’Italia con Francia, Liechtenstein, Austria, Svizzera, Germania e Slovenia. Il tema dello sviluppo montano, molto caro al territorio bresciano ricco di valli in attesa di rilancio, è stato al centro del colloquio che quiBrescia.it ha avuto con Parolo nei giorni scorsi.

DOMANDA. Che cos’è l’Eusalp?
RISPOSTA. Vorrei cominciare chiarendo subito che cosa non è: un carrozzone burocratico costoso e inutile. Non è un ente e non ha una struttura.
D. Bene. Ora ci spieghi che cos’è questa Macro regione alpina…
R. Sette paesi europei che hanno in comune il patrimonio alpino lavorano insieme, per trovare strategie di rilancio e condividere buone pratiche su tematiche comuni, con le quali tutti stiamo facendo i conti.
D. Progetto ambizioso, ma sarà davvero fattibile?
R. Per la prima volta l’Unione europea, che ha approvato la nascita della macro regione, ha raccolto le sollecitazioni dal basso. Sono stati, infatti, i sette Paesi a chiedere che nascesse questa realtà sovrastatale. Nel Baltico, come sul Danubio, per esempio, la Macro regione era stata decisa a tavolino dall’Ue.
D. Ma l’Eusalp, in concreto, che cosa sta facendo?
R. Siamo agli inizi: ci sono nove gruppi di lavoro che stanno lavorando su tre grandi temi: sviluppo alpino, connessione delle Alpi e protezione delle Alpi stesse. Entro fine anno verrà reso pubblico un documento condiviso con le linee guida e le strategie di sviluppo. Anche se la cosa principale sarà far lavorare insieme le aree urbane con le aree alpine.
D. Questi tavoli di lavoro come si muovono?
R. Vengono analizzate le strategie dei sette Paesi per affrontare una serie di tematiche. Ovviamente l’obiettivo è quello di prendere le idee e progetti migliori e applicarli poi su tutto l’arco alpino.
D. Dunque si va verso una sorta di cluster della montagna?
R. Diciamo che l’esempio calza. Il prodotto Alpi, ormai, deve essere venduto in maniera omogenea all’esterno: un americano che viene sulle Alpi non si preoccupa di sapere se è in Francia o in Italia; si preoccupa di avere servizi e offerte all’altezza delle sue aspettative. Noi dobbiamo lavorare per rendere le Alpi più omogenee, qualsiasi sia la località…Anche se noi italiani…
D. …Noi italiani?
R. Mi riferisco alle nostre peculiarità geografiche…
D. Può essere più chiaro?
R. Se si guarda la cartina si capisce che siamo l’unico Paese ad avere tutte le Alpi al nostro interno, e non solo le Alpi…
D. Quindi?
R. Siamo il limite meridionale delle Alpi, dal quale poi potrebbero aprirsi nuovi scenari e proposte di tipo culturale e turistico. Qui abbiamo tanto da offrire, anche di non alpino.

D. Ok, ma torniamo all’Eusalp e facciamo l’esempio degli impianti di risalita per lo sci…
R. Bisogna affrontare la situazione in maniera definitiva, anche il Lombardia. Ci sono impianti di risalita che non reggono più e in Valcamonica gli esempi non mancano e altri che resistono con grande fatica.
D. Come mai secondo lei si è arrivati a questa situazione?
R. Escludendo il clima, che ha tagliato le gambe alle località sciistiche più basse, credo che il modello improntato sul turismo di massa e sulle seconde case non sia più attuale.
D. E gli impianti di risalita sono da abolire?
R. Attenzione, non ho detto questo. Bisogna utilizzarli in maniera diversa. Intanto non si possono impiegare nella sola stagione invernale, che dura due mesi all’anno. Bisogna creare proposte per tutto l’anno coinvolgendo anche famiglie, anziani e persone non appassionate di sci. Ma allora è necessario parlare anche di cibo, di cultura, di natura, di fitness e altro.
D. Come avviene in Trentino?
R. In Trentino sono più avanti di noi per diversi motivi. Intanto gli impianti di risalita hanno un unico proprietario.
D. E questo è un bene?
R. Certo. Gli impianti sono messi in rete e collegano le diverse località fra loro. Questo aumenta la scelta e differenzia l’offerta e vengono fatte anche politiche di sviluppo comune.
D. In Lombardia sarebbe possibile?
R. Certamente. Pensate come sarebbe bello partire da Ponte di Legno e raggiungere le terme di Bormio senza utilizzare la macchina, ma con gli impianti di risalita. Certo è un lavoro complicato che può essere fatto da un investitore pubblico per lo sviluppo del territorio.

D. Regione Lombardia sta lavorando a questo?
R. Diciamo che stiamo studiando un modello che sia applicabile. L’idea è quella di avere un proprietario pubblico che assegni, poi, a privati la gestione di seggiovie e funivie, ma che sia in grado di fare investimenti strutturali per la valorizzazione del territorio.
D. Sarebbe una svolta epocale, soprattutto per alcune località che boccheggiano…
R. Sì: serve un accordo con i gestori e le banche che li hanno finanziati. Ma ora meglio non aggiungere altro.
D. Per un progetto così servirebbero molti soldi…
R. Ma in Trentino sapete come fanno a trovare i soldi?
D. No, ce lo dica lei…
R. Sono le Province autonome e la Regione le proprietarie dei bacini idrici di montagna, e di conseguenza possono investire le risorse che ottengono dal settore idroelettrico nelle politiche turistiche e culturali di valorizzazione del territorio.
D. Da noi non è così?
R. No, da noi non è così. In Lombardia i territori di montagna percepiscono un contributo sulla base dell’energia prodotta, ma dighe e laghetti artificiali non ci appartengono. Oltretutto la metà delle concessioni sono scadute e il governo non sta mettendo a gara i bacini. Di conseguenza le compagnie energetiche che ci lavorano pagano contributi datati. Io continuo a parlare di questa cosa con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, e non sono ancora riuscito a ottenere nulla.
D. Cosa manca?
R. Un decreto attuativo che attivi un decreto Bersani già approvato anni fa, che modifica il patto per le concessioni idroelettriche di montagna e che risolverebbe totalmente le problematiche dei nostri territori alpini e prealpini. Se vince il sì al referendum, aggiungo e concludo, tutto il tema energetico diventerà materia dello Stato centrale e le regioni non avranno più alcuna voce in capitolo.

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