«Patto per Brescia? Inutile e dannoso»

Damiano Galletti, segretario della Camera del Lavoro di Brescia stigmatizza il protocollo tra industriali e sindacati per il rilancio del mondo del lavoro.

(red.) Il cosiddetto “Patto per Brescia”? «Inutile e dannoso, bisogna lavorare per trovare soluzioni condivise da tutti». E’ quanto afferma Damiano Galletti, segretario della Camera del Lavoro di Brescia che, in un intervento, che quiBrescia pubblica integralmente spiega le perplessità della Cgil sul protocollo tra industriali e sindacati per aiutare il mondo del lavoro.

C’è purtroppo la concreta possibilità che nei prossimi giorni l’Associazione Industriale Bresciana, Cisl e Uil firmino il cosiddetto Patto per Brescia sulla contrattazione aziendale a livello territoriale. La Cgil, come già abbiamo annunciato nei giorni scorsi, quel testo non lo firmerà per un motivo molto semplice: nei mesi scorsi abbiamo partecipato ai tavoli di discussione, abbiamo portato le nostre idee e proposte, ma queste non hanno trovato ospitalità.
Il mio auspicio – lo sottolineo subito – è che ci sia un ripensamento da parte di tutti, che si rinvii la firma del patto e ci si sieda al tavolo per trovare un’intesa condivisa.
Il patto, così come è scritto, crea problemi più che risolverne, aumenta le rigidità laddove annuncia di superarle. In questi anni di crisi la contrattazione aziendale è stata inevitabilmente difensiva: si è cercato di parare i danni, di condividere il poco lavoro che c’era, ad esempio attraverso lo strumento dei contratti di solidarietà. Non a caso siamo la provincia in Italia che questo tipo di contratti ne ha fatti di più. Laddove c’erano le condizioni, abbiamo invece tentato di svolgere il nostro mestiere di rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici portando a casa qualche beneficio anche per chi rappresentiamo. Discutendo nel concreto della situazione di flessibilità e maggiore utilizzo degli impianti o di premi di produttività basati su criteri verificabili da tutte le parti. Insomma, laddove si sono infatti investimenti produttivi seri, la Cgil ha sempre svolto fino in fondo il suo ruolo di sindacato che contratta.
Il patto che alcuni si apprestano a firmare, facilita questo percorso? No, anzi, e il fatto che venga sottoscritto anche senza la maggiore organizzazione sindacale (non è bello ricordarlo, ma a volte è utile) rischia semmai di creare rigidità laddove prima non ve ne erano state e diffidenze inopportune, soprattutto in questa fase.
Essendo tutti consapevoli che i conti, all’atto pratico, si faranno con l’oste, non credo però che siano questi gli aspetti più gravi del Patto. Il danno peggiore è dato dalle false aspettative che questo può alimentare. Come è stato ricordato anche nei giorni scorsi da autorevoli esponenti del mondo accademico intervenuti sulla stampa locale, le politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro introdotte in Italia negli ultimi vent’anni non hanno inciso sulla espansione e sulle performance del tessuto produttivo. Semmai, aggiungo, hanno inciso in peggio sulle condizioni salariali e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Oggi, sia a livello nazionale che in chiave locale, si continua però a puntare sugli aspetti regolatori del lavoro. Fosse così semplice, in Italia siamo uno dei paesi a più alto di precarietà, dovremmo avere la piena occupazione. Non è così ovviamente e questo perché mentre continuiamo a discutere di regole e flessibilità mettiamo sullo sfondo i temi centrali degli investimenti industriali, dell’innovazione e di come questi possano essere finanziati. Si ragiona di queste cose nel Patto, si parla di nuove opportunità, di green economy, di sfida energetica, di riqualificazione del territorio e dell’ambiente, di programmi quadro europei sull’innovazione e la ricerca? No, queste cose non ci sono. La stessa formazione, cui si fa riferimento nel Patto, ha senso solo nella misura in cui l’impresa innova le tecniche, gli impianti, i processi produttivi, i prodotti, il cambiamento in atto nei consumi. Sono solo alcuni esempi, utili per ribadire un concetto: quando ci sono queste cose, quando si ragiona di investimenti produttivi reali, la Cgil c’è e ci sarà per discutere e contrattare. Se invece il piano sarà quello dell’ulteriore riduzione di redditi e diritti a costo zero (per le imprese), noi non solo non ci saremo ma ci opporremo con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione.
Da qui rinnovo dell’appello: invece di firmare un inutile patto a fine luglio, perché non fare un passo indietro tutti quanti per provare poi a farne un paio in avanti tutti insieme? A meno che, ma è solo un dubbio maligno, il patto non serva per la sostanza dei contenuti ma per presentarlo come «prova di forza» ad altri tavoli. Se fosse così, il Patto per Brescia sarebbe peggio che un’occasione sprecata.

 

 

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