Bragaglio non diffamò la Compagnia delle Opere

La sentenza a favore del consigliere spiega come il soggetto contestato fosse l'operato del sindaco Paroli e non la Cdo. Che ora dovrà pagare le spese.

(s.s.) Per trattare una causa per diffamazione, il giudice può basarsi su tre gradi di ragionamento. Per respingere la causa intentata dalla Compagnia delle Opere di Brescia contro il consigliere del Pd Claudio Bragaglio è bastato il primo. A tre anni dal “misfatto”, un consiglio comunale del marzo 2009, è arrivata la sentenza con la quale il giudice unico Gianluigi Canali ha respinto la richiesta di “risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non, arrecati alla Associazione Compagnia delle Opere di Brescia” nei confronti di Bragaglio.
La Cdo si era ritenuta diffamata da alcune affermazioni del consigliere, poi riprese anche da un quotidiano locale, le quali sostenevano “che la stessa altro non fosse che un soggetto privo di scrupoli che si era sostituito”, si legge nella sentenza del tribunale, “al potere politico nel governo della città”. Nello scrivere la sentenza, però, il giudice ha riconosciuto che “il discorso del convenuto (Bragaglio) sembra avere un significato diverso e molto più complesso di quello assunto dall’attrice (Cdo)”. Ovvero: l’intento del consigliere era quello di criticare l’operato dell’amministrazione comunale e in particolare del sindaco Paroli, ai tempi ancora caratterizzato dal doppio incarico di primo cittadino e deputato, e non di diffamare la Cdo. Che anche se definita “lobby” con “logiche affaristiche”, tale appellativo era privo di significati negativi.
“La parola lobby”, è scritto nella sentenza, “indica un gruppo di persone che sono in grado di influenzare a proprio vantaggio l’attività del legislatore e le decisioni dei governanti riguardo a determinati problemi soprattutto economici e finanziari. Il termine è quindi privo di significati negativi e vuole solo indicare un gruppo organizzato capace di ottenere dal potere politico la necessaria attenzione per temi e problemi di cui le varie associazioni sono espressione”. E ancora: “Criticare un politico perchè è troppo sensibile alle istanze che provengono da una certa “lobby” non comporta alcune denigrazione per la lobby in questione”.
“Oltre a ringraziare gli avvocati Giuseppe Onofri e Andrea Ricci”, ha commentato Bragaglio, “per il loro lavoro encomiabile, tengo a porre un particolare ringraziamento anche al consigliere Giorgio Agnellini, da dieci anni iscritto alla Compagnia delle opere di Brescia.  Pochi giorni dopo la denuncia da parte della Cdo, lo stesso Agnellini intervenne in consiglio sostenendo che ciò che io dissi, e che poi divenne oggetto della causa civile, esprimeva soltanto un comune sentire condiviso da più persone all’interno dell’aula e che quindi sarebbe salito con me sul banco degli imputati”.
“Oltre che per il suo contenuto”, ha concluso l’avvocato Ricci, “abbiamo apprezzato la sentenza in particolare per come è stata scritta, attenendosi strettamente al tema del dibattimento e lasciando le valutazioni politiche a chi di dovere, cosa non sempre usuale in questo campo”. La Compagnia delle Opere è stata quindi condannata a pagare le spese di lite quantificate in circa 16mila euro.

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