“Il marmo di Botticino copiato dai cinesi”

L'allarme lanciato dall'assessore regionale Gibelli in visita nel Bresciano: "Passare da un consorzio ad una rete d'impresa che tuteli tutta la filiera".

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(red.) Bisogna difendere un prodotto “vecchio” di duemila anni contro le aggressioni estere com’è questo marmo. Un imperativo categorico per Andrea Gibelli, vicepresidente della Regione Lombardia e assessore all’Industria e all’Artigianato, che giovedì, proprio dalle cave di Botticino in provincia di Brescia, ha ripreso l’Assessorato Itinerante, iniziativa che lo porta, settimanalmente, nelle imprese lombarde.
Una 38esima tappa tutta all’insegna della riflessione sulla concorrenza sleale e  sulle forme per bloccarla. “Il marmo di Botticino”, ha detto, infatti, Gibelli, è un marchio lombardo riconosciuto anche a livello internazionale. Oggi, però, la concorrenza cinese obbliga non solo a tutelare  il nome, ma anche l’origine del prodotto da cava e soprattutto i metodi di lavorazione che devono avere un ciclo chiuso di cavazione e lavorazione in loco, in maniera tale da resistere a chi all’estero, in Cina, in Corea e in Turchia usano nomi molto simili al termine Botticino per poter fare concorrenza sleale a un prodotto di qualità”.
Gibelli si è recato in mattinata nelle cave bresciane dove nelle attività di estrazione e di lavorazione operano le cooperative “Valverde” e “Operai Cavatori del Botticino”.
Un vero esercito composto da 85 soci lavoratori con rispettivamente 38 e 50 addetti alla lavorazioni con valori di produzione che, per il solo 2010, sono valsi complessivamente quasi 11 milioni di euro. Il prodotto è richiestissimo all’estero . Il marmo bresciano è stato utilizzato nell’Altare della patria, ma anche al Gran Central Terminal di New York o all’Hotel Hilton Di Buenos Aires.
“Quello che conta”, ha detto ancora Gibelli visitando gli impianti di lavorazione “, è soprattutto l’origine della lavorazione che è sinonimo di qualità, di rispetto dell’ambiente di capacità di essere competitivi con una serie di operazioni che fanno emergere il cosiddetto ‘Made in Italy by Lombardia’: qui si produce  molto meglio di altri”.
Il vicepresidente si è soffermato anche sulla forma di lavoro aggregato come quello cooperativistico.”Il fatto che, comunque, le persone responsabilmente si associano in forma cooperativa per dare una valore aggiunto alla produzione e alla lavorazione”, ha concluso Gibelli, “è una forma importante. Quello che mi auguro è che, con il tempo, proprio per valorizzare il loro marchio, si passi da un consorzio a una rete d’impresa in modo che dai cavatori e  dai trasformatori, fino a chi vende e a chi fa marketing, tutti possano lavorare insieme”.

 

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