Fazil Say, improvvisazioni di un pianista che ama il jazz

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di Anna Peroni

“Gli altri grandi pianisti ci offrono un piatto molto ben servito, dal profumo invitante e delizioso, che appaga la vista, l’odorato e accende la fantasia; con Fazil Say è diverso: con lui finalmente si mangia”. Questo è stato il commento della nostra vicina di poltrona al Teatro Grande ieri sera per il recital del trentasettenne interprete turco, che, per la seconda volta (fu ospite anche nella precedente edizione) si è esibito per il pubblico del Festival Pianistico Internazionale Arturo Benedetti Michelangeli.
Niente di più azzeccato: una metafora che spiega molto, anche se non abbastanza, di una serata davvero magica, che ha infuocato la platea e strappato urla unanimi.
Il programma, cambiato all’ultimo momento dallo stesso Say, prevedeva l’esecuzione della Sonata in Re minore op.31 n.2 “La Tempesta” e la Sonata in Do minore op.53 “Waldstein” (quest’ultima sostituita dalla op.48 in Do Maggiore di Haydn), e la Sonata in Si minore di Franz Liszt.
Say “improvvisa” la sua interpretazione (si sente che ama il jazz). Esegue un Beethoven così emozionante da scatenare sospiri dal profondo, anima i segreti più intimi rimuovendo l’anima dal suo torpore. Questo è il vero rapporto con chi ascolta; questo è suonare per essere realmente ascoltati; non è solo musicalità e tecnica, è amore, emozione allo stato puro. La sua è un’esecuzione molto corporea: sorride e si dispera, chiede e dà con un trasporto emotivo di grande intensità. Ci canta sopra, incapace di resistere alla tentazione di possedere interamente la musica, muove le mani che, per poco sciolte dal loro compito, accompagnano le note verso il loro destino, forse a prendere contatto con l’energia universale.
L’ineccepibile tecnica, le dinamiche e i colori amplificati diventano un linguaggio dell’anima, libero, senza costrizioni, sublime ed irresistibile. Si sente il bisogno di ridere forte o di piangere sommessamente come lui, dalla sua postazione, suggerisce. Non piacciono al pubblico le luci accese in sala e nemmeno il cambio tra Beethoven e Haydn (benché eseguito meravigliosamente), ma questo è Fazil Say: deve vedere in viso la gente, deve stabilire il contatto, deve poter improvvisare anche la scaletta.
Passano velocemente le due ore abbondanti del concerto. Non ci si accorge quasi e anche Liszt, eseguito in modo poetico e impetuoso, finisce. Scoppia il clamore del pubblico che, improvvisamente orfano di tanta emozione, chiede ben quattro bis. Così Say ci regala il suo toccante  “A la carte” (suonato con una mano sulla tastiera e una nella meccanica del piano) e rivisita  Mozart e Gershwin in stile jazzistico provocando fra la gente un’allegra eccitazione. Irripetibile.
Lunedì 4 giugno alle 21,45 sarà la volta di Alexei Lubimov (piano) e Salvatore Accardo (violino) accompagnati dalla Camerata Salzburg diretta da Pier Carlo Orizio.

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