A2A, Cgil Brescia: “Serve un piano industriale”

Per la Camera del Lavoro la riflessione sulle prospettive della azienda "non può ridursi a scelte in termini di riassetti organizzativi e distribuzione di incarichi".

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(red.) “La riflessione sulle prospettive di A2A non può ridursi a valutare le scelte in termini di riassetti organizzativi e distribuzione di incarichi, tutti interni a logiche che, non volendo pensare a spartizioni federaliste,  restano inafferrabili”. Lo si legge in una nota della Camera del Lavoro di Brescia.
“Da Brescia il Sindacato può solo tirare ad indovinare le logiche dello scontro, già risolto, attorno alla nomina del Direttore di A2A Ambiente, dopo le dimissioni di Sonia Cantoni, che non condivideva il Piano Industriale, approvato nel 2012. Siamo tra quanti”, afferma  Oriella Savoldi, “desiderano da tempo capire quali contenuti industriali, ambientali, produttivi, occupazionali ha questa misteriosa indicazione di “Brescia polo ambientale”, accolta con tanta soddisfazione, seppure priva di concretezza: sia per i dipendenti, che noi intendiamo rappresentare, sia per il sistema delle imprese. Tutto in rapporto con una crisi ambientale che desta nei cittadini e nelle cittadine bresciane un più che giustificato allarme”.
“Per quel che riguarda i dipendenti esigiamo una discussione di prospettiva sulla tenuta e lo sviluppo del numero dei dipendenti, dopo la dichiarazione poi rientrata di quattrocento esuberi: si intendono dismettere lavorazioni? O ci siamo trovati dinnanzi ad un cinico gioco sui livelli occupazionali finalizzato a darsi un’ immagine “rigorista” in Borsa?”, domanda Savoldi.
La Cgil non ha mai accettato la logica della finanziarizzazione di A2A, che tanti costi sta scaricando sulla realtà bresciana; purtroppo l’Amministrazione Comunale non ci sostiene in questo sforzo di responsabilità civica, ma faremo valere la nostra autonomia, di cui siamo massimamente gelosi. Siamo consapevoli che dallo sviluppo industriale sostenibile di A2A, dipendono le risposte ai bisogni e qualità dei servizi. E che la soddisfazione dei primi e il miglioramento dei secondi non può essere affidata alla limitata rivendicazione da parte dell’Amministrazione comunale di garanzie di incasso di dividendi futuri in quantità predeterminate, anche considerando il fatto che la maggior parte degli introiti della multinazionale vengono dal pagamento delle bollette”.
Per la Camera del Lavoro serve “approfondire il Piano industriale di A2A è doveroso in rapporto ai problemi che ci sono, per le sue ricadute ambientali, sociali, occupazionali, sui servizi. L’approfondimento pretende di guardare alla struttura di A2A, al suo posizionamento e sviluppo. Non è pensabile limitarsi alle questioni di assestamento e di gestione, tanto più considerando come la fusione abbia lasciato aperti troppi problemi e creato discutibili ed onerose separazioni. Il duale non ha mai trovato un efficace equilibrio a livello decisionale, rispettoso delle diverse vocazioni”.
“È in questa situazione che, pur vantando una rendita di posizione per la sua natura di “partecipata”, e pur espandendosi, la multiutility A2A ha accumulato un debito pesante e, in un recente percorso pieno di contraddizioni, ha dichiarato un numero tremendo di esuberi tra i dipendenti, salvo poi rimangiarselo. È in questa situazione”, evidenza la Cgil, “che è stata decisa e partirà a luglio A2A Ambiente riassumendo tutte le attività del settore oggi gestite in diverse società (Amsa, Aprica, Ecodeco, Partenope Ambiente, Aspem). Per effetto di questa scelta Amsa limiterebbe la sua attività alla gestione dei rifiuti e allo spazzamento delle strade, unendosi ad Aprica”.
Cgil è contraria a questo “ulteriore  spacchettamento, dove, per effetto del riassetto societario e organizzativo,  il ciclo integrato dei rifiuti risulterebbe svincolato  dal ciclo industriale complessivo.  Al contrario, scongiurando eventuali esternalizzazioni, riteniamo che tutte le attività debbano restare parte  integrata del ciclo produttivo della multiutility A2A”.
Secondo il sindacato, “la prima questione è quella che investe  la sfera degli investimenti di prospettiva e dunque, nuovamente, il piano industriale. Qui i dubbi sono molti. In particolare l’idea di allungare di chilometri la rete del teleriscaldamento per proporlo ai Comuni sulla traiettoria Brescia-Milano. A parte gli ovvi problemi di dispersione di calore, ci sembra che il presupposto sia quello di considerare invariabili le quantità di rifiuti da incenerire: presupposto  assolutamente discutibile”.
Inoltre, per la Camera del Lavoro bresciana, “lo stesso sistema del teleriscaldamento va ripensato già laddove è impiantato: la sua obsolescenza propone una ridiscussione; anche considerando molto più utile l’efficientamento energetico dell’edificato. Questa direzione porta  alla realizzazione di impianti per il recupero e il riciclaggio ed il riuso  di materie prime derivate, possibile fonte di nuova “ricchezza” oltre che di nuove attività ed occupazione”.

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