Lettere al direttore

Donne, le disuguaglianze di salute tra differenze biologiche e fattori sociali

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Esiste un rapporto tra la storica asimmetria di potere in molte sfere sociali a svantaggio delle donne e la cattiva qualità della loro salute, che le porta a vivere più degli uomini, ma con maggiori sofferenze e problemi di salute.
Per rilevare gli effetti delle disuguaglianze sociali, bisogna anche dipanare l’intreccio tra differenze biologiche e disuguaglianze sociali, che può oscurare e confondere alcuni aspetti delle disuguaglianze di salute.
Osservare e interpretare correttamente le disuguaglianze di salute per genere non è facile. Spesso i dati non sono adeguati, spesso non aiutano a collegare la dimensione sanitaria e della salute con le informazioni di carattere sociale e culturale che potrebbero chiarirne i meccanismi generatori.
La salute di donne e uomini è al contempo un macro indicatore dell’impatto delle disuguaglianze nelle esperienze di vita e dei differenti gradi di controllo che le persone riescono ad esercitare sulle proprie scelte, ed anche un obiettivo da perseguire.
È importante osservare, spiegare e “apprendere” sull’origine delle differenze di salute tra donne e uomini, ancora nascoste tra le pieghe delle statistiche, nella oggettiva complessità dei meccanismi di generazione ed anche nel radicato ricorso a chiavi interpretative tratte da modelli culturali dominanti, spesso maschili, che sono ritenuti neutri e, quindi, applicabili a tutti, donne e uomini.
Nell’ambito della salute, proprio l’intreccio tra le due dimensioni, biologica e psicosociale, sembra rappresentare il terreno su cui potenziare la conoscenza e l’intervento in vista di una maggiore equità.
L’interazione tra fattori biologici e sociali è alla base del cosiddetto ‘paradosso di genere’: il vantaggio che deriva alle donne da una maggiore longevità – considerando che l’aspettativa di vita, pur diminuita di quasi 4 punti nelle nostre province a seguito della pandemia da coronavirus, in Italia è di 84,4 anni per le femmine e 79,6 per i maschi – è segnato da una più accentuata presenza di patologie nel corso degli anni, con esiti invalidanti soprattutto nella tarda età.
Alcuni studi hanno evidenziato per le donne un vantaggio di salute derivante proprio dal patrimonio biologico. Di fatto, però, questo ‘bonus’ viene poi spesso giocato per contrastare effetti negativi derivanti dalle abitudini di vita e dall’iniqua distribuzione di beni e opportunità.

Spesso c’è un tardivo riconoscimento da parte della comunità medica delle differenze biologiche che sottendono il manifestarsi delle patologie, cardiache ad esempio, e un uso di procedure di diagnosi e di cura che, di conseguenza, risultano inefficaci e ci sono:
• La povertà mestruale, tema pochissimo affrontato: secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite l’accesso insufficiente a prodotti per l’igiene mestruale colpisce una ragazza o una donna su dieci nel mondo.
• Il dolore pelvico e vulvare, endometriosi e vulvodinia, hanno sfumature diverse da donna a donna, ma sempre vale il racconto che la donna fa di se.
• La menopausa è un transito in una nuova dimensione di biologia e di vita e anche qui vale il racconto che la donna fa di questo suo tempo.
• I diritti riproduttivi e sessuali.
Sono tutte questioni trascurate dai governi e dall’industria farmaceutica.
Laddove similarità tra lo stato di salute di uomini e donne in analoghe condizioni economiche e lavorative sono sempre più evidenti, si dovrebbero reinterpretare gli elementi che entrano in gioco appurando la rispettiva importanza dei fattori sessuali e biologici da un lato e delle disuguaglianze di genere dall’altro, analizzando i loro effetti incrociati sulle circostanze materiali della vita quotidiana.
L’adozione della stessa prospettiva gender sensitive in politiche non prettamente sanitarie può rendere possibile generare altri vantaggi sulla salute di donne e uomini, poiché agire sulle asimmetrie sociali di genere significa incidere sul funzionamento dei meccanismi sociali che determinano il benessere e i rischi per la salute.

La sfida non sta solo nell’osservare gli eventi per genere – come si fa utilizzando una tabella con colonne separate per maschi e femmine – ma nella capacità di individuare processi differenziati per genere.
L’indagine ISTAT sulla salute percepita restituisce un quadro di benessere fisico e psicologico molto differenziato per donne e uomini a seconda dei principali determinati sociali della salute. In particolare la mono-genitorialità o il vivere soli affligge maggiormente la salute fisica e psicologica delle donne, anche perché sono le donne che spesso sopravvivono ai coniugi in età più anziana.
A parità di titolo di studio emerge uno svantaggio nella salute, soprattutto psicologica, delle donne. Essere occupati ha un effetto positivo sulla percezione dello stato psicologico per donne e uomini.
Il sostegno all’occupazione femminile, più in generale, si conferma essere lo strumento per contrastare le disuguaglianze di reddito e, di conseguenza, di salute.
Un recente studio ha dimostrato che per le lavoratrici con più di un figlio aumenta del 20% il rischio di infarto. Questo vuol dire che non basta avere un lavoro per recuperare salute. Deve essere un lavoro di qualità e un lavoro che possa essere gestito nel rispetto dei tempi di vita delle singole persone.
Quindi, politiche di inclusione delle donne nel lavoro possono essere ancor più efficaci se accompagnate da investimenti in ‘infrastrutture sociali’, prime tra tutte le politiche di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
Rimane aperta, tuttavia, la questione se le politiche di conciliazione siano misure a sostegno delle donne o misure orientate ad una maggiore equità nella distribuzione delle attività domestiche tra i partner.
Si tratta di facilitare un recupero del potenziale di salute, disperso dalle resistenze e dalle distorsioni originate da disuguaglianze di genere.
Donatella Albini,
consigliera comunale di Brescia,
delegata dal sindaco alle Politiche della Sanità

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