Lettere al direttore

Sono figlio di genitori istriani e vi racconto il mio Giorno del Ricordo

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Nel marzo 2004 il Parlamento italiano approvava a grande maggioranza una legge per il ricordo delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata e delle complesse vicende del confine orientale.
Allora c’era stata l’illusione di riscrivere una parte di storia con il contributo delle versioni date dalla destra fascista, in un impeto di riconciliazione nazionale, tentando un recupero di storia basato su vicende che io, essendo figlio di genitori nati in Istria, ho sempre sentito ricordare in altro modo.
Con questo mio retroterra di ricordi sono rimasto allibito già quando dagli anni ’90 in poi si sono riproposti fatti e racconti, che da sempre circolavano in certi ambienti giuliano-dalmati più nostalgici del ventennio, come un ricordo tenuto volutamente nascosto, sepolto per evidenti interessi antiitaliani, fino ad arrivare agli assurdi paralleli tra la Shoah e l’Esodo dal Confine Orientale.

Si sa invece che, persa la guerra scatenata dal nazifascismo, chi decideva e sceglieva di venire o tornare in Italia poteva raccogliere le proprie cose, che venivano poi spedite in treno o in nave ai magazzini di Trieste, e, una volta trovata una sistemazione in Italia, farsele consegnare a domicilio, anche con qualche ammaccatura, come succede in ogni trasloco. Così fecero i miei: dopo aver trovato lavoro e casa in Italia nell’ autunno del 1946, arredarono la nostra casa con i mobili che avevano in Istria. E come loro tanti altri con aiuti e precedenze per ottenere case e lavoro pur in un periodo difficile come per tutti nel dopoguerra.

In Yugoslavia, dopo il 1945, sono rimasti migliaia di cittadini di nazionalità italiana che avevano le loro scuole ed i loro rappresentanti nel parlamento locale. Quando da bambino “italiano” negli anni ’50 andavo nei mesi estivi in Istria a trovare i miei parenti, recandomi spesso al mercato di Pola era normale sentir tra le bancarelle “ciacolare” e commentare i fatti del giorno in Italiano “d’Istria”. Là in quegli anni miei cugini a scuola insieme al serbo-croato studiavano l’italiano, le loro pagelle già dalla fine degli anni ’40 erano scritte con diciture bilingui e alla domenica andavano alla messa. Ma quale pulizia etnica è stata questa, quale persecuzione religiosa e ateismo di Stato?.

Il Giorno del Ricordo è diventato l’apologia del vittimismo. Associazioni di ispirazione nostalgica e sedicenti irredentiste e rappresentative degli esuli hanno ricevuto prima miliardi di lire e poi milioni di euro dallo Stato, cioè a nostre spese, per condurre ogni anno campagne mediatiche con narrazioni da tragedia per saturare di storie truculente il comune sentire.
Già nel 1970 mio padre, antifascista e cattolico, disdisse l’abbonamento al giornale “L’ Arena” di Pola, non sopportandone più la linea editoriale revanscista e nostalgica.

Come si capisce, il ricordo può diventare una cosa aleatoria, perciò va collocato in un contesto preciso e verificato in un panorama più ampio di fonti e testimonianze. Si citano date e si raccontano fatti a ruota libera, ignorando le domande base di chi fa informazione: chi? come? quando? dove? perché?
Il 10 febbraio è da ricordare per un trattato di pace, faticosamente stipulato dall’Italia repubblicana, che per pagare la sconfitta dopo le criminali avventure belliche dei vari d’Annunzio e Mussolini, ha dovuto anche abbandonare l’Istria.
Adriano Moratto, Botticino Mattina

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