Lettere al direttore

Mafie, corruzione ed evasione fiscale: come si battono i mali della giustizia

Non si combattono inasprendo le pene, ma condannnando in tempi rapidi i colpevoli. Contributo da leggere.

Riportiamo integralmente la lettera di Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Una bella riflessione sulle riforme della giustizia che andrebbero fatte per fermare il declino del nostro Paese e tamponare la crisi economica. Sicuramente da leggere. 


Mafie, corruzione ed evasione fiscale sono i principali problemi che l’Italia dovrebbe risolvere e non attraverso il continuo inutile inasprimento delle conseguenze penali ma mediante processi celeri con sanzioni effettive ed efficaci.

A differenza degli altri Paesi europei, in Italia le condanne non arrivano mai o cadono in prescrizione, questa discrasia fa il gioco dei delinquenti ma scoraggia anche gli investitori che vorrebbero investire nel nostro Paese. Se si continua su questa strada, purtroppo, ci attende il baratro. L’Italia di oggi, in piena emergenza economica, non può più tergiversare su questa riforma, le sarebbe fatale. Migliorare la giustizia, semplificare la burocrazia, ridare attualità alla scuola e al sociale sono oggi le riforme più importanti per rilanciare l’economia italiana. Sulla riforma della giustizia penale, salvo non si voglia tornare al rito inquisitorio, sono per la discrezionalità dell’azione penale, per la separazione delle carriere, per l’inibizione totale di passaggio dalla magistratura alla politica. Ritengo sarebbe opportuno ridurre drasticamente anche il numero dei magistrati fuori ruolo.

Affiderei la gestione delle cancellerie agli amministrativi eliminando la doppia dirigenza poiché un tribunale è un’organizzazione complessa che produce un servizio all’utenza connesso strettamente al lavoro del personale amministrativo. Chi vive le cancellerie e conosce i servizi sa come sviluppare le migliori capacità di gestione e organizzazione all’interno degli uffici giudiziari, il che richiede non solo specifica conoscenza ma anche il riconoscimento di una larga autonomia al dirigente amministrativo. Il sistema della giustizia penale va riformato anche mettendo subito mano alla eccessiva “criminalizzazione” di molte condotte che potrebbero essere risolte senza l’utilizzo di sanzioni di natura penale. Altro aspetto da affrontare è la convenienza a sostenere sempre i giudizi di appello che portino solo benefici al condannato. Iniziando a porre rimedio, a costo zero, a questi due fattori si inizierebbe ad affrontare l’eccessiva durata dei processi penali in Italia. In merito alla lungaggine dei processi civili, invece, sarebbe auspicabile scoraggiare i comportamenti volutamente dilatori che purtroppo non sono pochi. Sono favorevole all’introduzione del giudizio di ammissibilità in sede civile, al maggior uso dell’arbitrato e al potenziamento della mediazione e della negoziazione assistita con funzioni definitorie. Ritengo, tuttavia, che solo un governo molto forte e sorretto da un consenso ampio possa mettere mano alla riforma della giustizia. Mi verrebbe anche da dire, non in tono polemico, che in Parlamento non abbiamo più giuristi raffinatissimi come Aldo Moro, Giovanni Leone, Giuliano Vassalli, Giuseppe Bettiol, Alfredo De Marsico, solo per citarne alcuni che mi sovvengono in questo momento. Questi erano personaggi di caratura internazionale.

La cultura giuridica, che affondava le proprie radici in quella che è stata definita la grande “scuola di diritto italiana”, sedeva in Parlamento, occupava cariche istituzionali, fino al vertice della Repubblica Italiana. Questo è un fattore che ha un suo rilievo e che oggi purtroppo non si riscontra. Abbiamo però un valore aggiunto. La nostra stella polare è la Costituzione. Partendo da essa possiamo approntare una seria riforma dell’organizzazione giudiziaria, del processo penale e di quello civile che parta dalla reale parità tra accusa e difesa e da un giudice assolutamente terzo e indipendente.

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