Lettere al direttore

La magistratura italiana a un bivio: molte istituzioni pubbliche reclamano giustizia

La magistratura ha il suo organo di autogoverno a tutela della propria indipendenza. Se quest’organismo, oltre a non garantire l’indipendenza dei magistrati, non assicura neanche il valore della Giustizia, allora, è inevitabile che la sua esistenza divenga sempre più un’incognita. Negli ultimi decenni la politica è stata impegnata non nel risolvere i problemi della giustizia, affinché funzionasse meglio, ma nell’assicurare l’impunità per i poteri forti. Molte istituzioni pubbliche nel nostro Paese reclamano giustizia. Penso a clientelismi, a raccomandazioni, a furberie che vanno dall’evasione fiscale, all’abuso edilizio, dai concorsi universitari usualmente manovrati, alle nomine pilotate in enti pubblici, dalla truffa ai danni dello Stato, alle frodi comunitarie. Di queste distorsioni ha purtroppo sofferto anche parte della magistratura. Occorre essere onesti e riconoscere che lo scandalo sulle nomine pilotate, con gli incontri notturni tra membri del Csm e politici, ha contribuito ad aggravare l’attuale crisi di legittimazione della magistratura nel suo insieme. Vale, però, la pena ricordare che le condotte contestate a Luca  Palamara erano note già da molti anni a chi conosce il mondo della magistratura. I rapporti stretti fra toghe e politici, con buona pace dell’autonomia e dell’indipendenza del Csm, ci sono sempre stati. Il punctum dolens è il tipo di rapporto che intercorre tra politico e magistrato. Non ritengo ammissibili, ad esempio, le cd. porte girevoli fra politica e magistratura. I magistrati facciano i magistrati, senza avere più incarichi extragiudiziari assegnati direttamente dalla politica. Da riformare al più presto è anche il codice disciplinare dei magistrati. Raramente questi ultimi pagano per i propri errori.

 

Per rafforzare la credibilità dei magistrati stessi ritengo andrebbe rivista l’adeguatezza delle sanzioni previste e applicate. Vanno rese più efficaci le conseguenze sanzionatorie. Penso, in primis, al sistema delle incompatibilità ambientali che sono molte e spesso irrisolte. Vi sono pratiche pendenti per incompatibilità che trovano la loro risoluzione solo con il sistema delle promozioni e con i pensionamenti anticipati. Ricordiamoci che esiste anche un’incompatibilità funzionale, che penso non trovi quasi mai applicazione. Mi spiego meglio: se un giudice, ad esempio, vede sempre impugnati tutti i suoi provvedimenti, non sarebbe il caso di valutare per lui un ruolo diverso all’interno della magistratura? Lo stesso discorso, ovviamente, vale anche per i pubblici ministeri. La riforma della magistratura dovrà inevitabilmente ripartire dal bilanciamento tra potere in mano al magistrato e sanzioni in caso lo usi in maniera distorta. Autonomia e indipendenza del magistrato non possono condurre a un’idea d’impunità assoluta della categoria.

 

Chi sbaglia volontariamente deve essere sanzionato. Sarà quindi opportuno proprio a seguito del caso Palamara esaminare tutte le intercettazioni e valutare con serietà ed efficacia se ci siano questioni che possano creare situazioni d’incompatibilità ambientale o professionale per i vari magistrati che emergono nelle chat e nelle intercettazioni per disporre anche dei trasferimenti d’ufficio. Nessuno può sentirsi forte e sicuro di averla fatta franca. Se vi saranno i presupposti, credo sia giusto invalidare anche le nomine fatte negli ultimi anni. L’autonomia dei magistrati va preservata con il rigore dell’etica e della deontologia professionale. Rendere giustizia vuol dire seguire la strada dell’equilibrio, dell’indipendenza e della assoluta imparzialità del giudizio. Questa è l’unica vera grande riforma della magistratura che però risiede essenzialmente nei meandri della più profonda e inspiegabile personalità dell’essere umano.

Vincenzo Musacchio, giurista italiano

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