Metalmeccanica, a Brescia fatturati con il segno positivo

Le aziende segnalano però preoccupanti rialzi sul fronte delle materie prime e dell’energia. Diminuisce il ricorso alla Cassa Integrazione.

(red.) In provincia di Brescia, nel terzo trimestre 2021, il volume d’affari dell’industria metalmeccanica ha consolidato la tendenza positiva rilevata nei periodi precedenti. In particolare, con riferimento ai mesi gennaio-settembre, il comparto della meccanica ha registrato una crescita delle vendite del 28% rispetto allo stesso periodo del 2020, e del 14% nei confronti dell’analogo intervallo del 2019, arco temporale preso a riferimento come “normalità pre-Covid”.  Per quanto riguarda la metallurgia, le vendite sono in aumento del 46% nei confronti del 2020 e del 18% sul 2019.

A evidenziarlo è la più recente edizione dell’indagine trimestrale condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia, che ha dedicato ampio spazio anche alla valutazione delle conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria sulle imprese.
L’evoluzione positiva dei ricavi nasconde tuttavia serie problematiche per quanto riguarda gli approvvigionamenti delle materie prime e dei semilavorati utilizzati nei processi produttivi. Nel 3° trimestre di quest’anno ben il 40% delle realtà meccaniche e il 23% di quelle metallurgiche ha indicato la “scarsità di materie prime e semilavorati” come il principale fattore che limita la produzione. Si tratta di un radicale cambio di scenario rispetto al medesimo trimestre del 2020, quando tale problema non era indicato da nessuna azienda meccanica e solamente dal 6% di quelle metallurgiche, in un contesto, ancora viziato dal lockdown dei mesi precedenti, in cui la domanda insufficiente era trasversalmente riconosciuta come il più importante ostacolo allo sviluppo del business.

Tali problematiche stanno provocando serie conseguenze sui costi di acquisto dei materiali. Dal terzo trimestre del 2020 allo stesso periodo del 2021, le imprese bresciane attive nella meccanica hanno dichiarato incrementi nei costi di acquisto nell’ordine del 51%, quelle nella metallurgia indicano addirittura rincari pari al 61%. Di fronte a tali esasperate dinamiche, le aziende hanno risposto con incrementi dei prezzi di vendita pari rispettivamente al 6% e al 41%. Ciò sta a significare che gli operatori della metalmeccanica bresciana hanno solo in parte trasferito sui prezzi applicati ai clienti gli extra-costi subiti nella fase di approvvigionamento. Ne consegue una riduzione della marginalità industriale, che rischia di muoversi in direzione opposta a quella dei fatturati.

“In questo ultimo anno abbiamo visto crescere i volumi di richiesta e produzione, ma purtroppo tale tendenza è stata accompagnata da un dato allarmante: dopo la crescita dei costi delle materie prime, siamo ora costretti a combattere con l’aumento di energia e gas. Una situazione che purtroppo, pur creando una crescita dei fatturati, comporta un fortissimo calo di margini”, commenta Gabriella Pasotti, Presidente del settore Meccanica di Confindustria Brescia. “Auspico quindi che Confindustria possa affrontare queste tematiche al tavolo del Governo per trovare una soluzione urgente prima che sia troppo tardi”.

“I costi energetici e delle materie prime sono una delle ragioni principali del rialzo dei fatturati delle aziende sidermeccaniche. Il forte rimbalzo è trainato quindi parzialmente da una spinta propulsiva dei consumi, ma soprattutto spinto da un aumento importante sui costi”, aggiunge Giovanni Marinoni Martin, Presidente del settore Siderurgia, Metallurgia e Mineraria di Confindustria Brescia. “Ricordo che l’aumento dei prezzi trainato dai costi significa stagflazione e questo ha un effetto negativo sull’economia. Un effetto che si materializzerà quando questi forti aumenti dei costi verranno scaricati a valle sull’inflazione, andando ad erodere il potere di acquisto delle famiglie. Occorre quindi prudenza nel festeggiare sul rimbalzo dei fatturati”.

Quanto denunciato dalle imprese trova riscontro nelle quotazioni delle principali commodity metallurgiche rilevate nei mercati internazionali. A titolo d’esempio, l’indice LMEX, che racchiude in un solo valore le quotazioni dei principali metalli non ferrosi scambiati alla borsa di Londra (alluminio, nichel, piombo, rame, stagno e zinco) si attesta poco al di sotto dei massimi storici (4.350 la quotazione media nella settimana n. 49), rilevando un incremento del 91% dai minimi del 2020 e del 26% nel solo 2021. Allo stesso tempo, la crescita rispetto alla media del triennio 2017-2019, preso a riferimento come la “normalità pre-Covid”, è pari al 45%.

Le preoccupazioni degli operatori metalmeccanici riguardano inoltre il “caro energia”, che rischia di compromettere ancora di più la redditività operativa, già messa sotto pressione dall’evoluzione delle quotazioni delle materie prime. In tale contesto, il prezzo del gas naturale ha raggiunto cifre esorbitanti, tali da mettere a rischio, in alcuni casi, la convenienza economica a produrre. Più nel dettaglio, le quotazioni del TTF, benchmark per il mercato europeo, hanno di nuovo toccato, sempre nella settimana n.49, i 100 €/MWh, con un incremento del 419% dai primi giorni del 2021 e del 447% sulla media del triennio 2017-2019.
Sul versante del mercato del lavoro, persistono i segnali di sgonfiamento del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni nei settori metalmeccanici.
Le ore autorizzate nei primi dieci mesi del 2021 sono diminuite del 60% rispetto allo stesso periodo del 2020, passando da 44,8 a 17,9 milioni. In particolare, la componente ordinaria è calata del 73% (da 43,5 a 11,9 milioni di ore); quella straordinaria invece è cresciuta del 385% (da 1,3 a 6,1 milioni di ore). Tuttavia, il confronto con i primi dieci mesi del 2019 mostra una crescita del 356%, sintesi di un +644% della CIGO e di un +159% della CIGS. Sulla base delle ore effettivamente utilizzate è possibile stimare che le unità di lavoro annue (ULA) potenzialmente coinvolte dalla CIG siano circa 4.700, contro le quasi 12 mila dello stesso periodo del 2020 e le mille del 2019.

Dal punto di vista della struttura produttiva, Brescia è la seconda provincia italiana per rilevanza dell’industria metalmeccanica (dopo Torino). Con poco più di 100 mila addetti attivi, è leader nazionale per quanto riguarda la metallurgia (16 mila addetti) e i prodotti in metallo (39 mila), è al secondo posto nei macchinari e apparecchiature (30 mila) e in sesta posizione relativamente ai mezzi di trasporto (poco più di 8 mila addetti).

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