Migliaia di tamponi verso gli Stati Uniti a marzo, Brescia riapre inchiesta

La procura generale ha avocato l'indagine che Cremona aveva archiviato sui 500 mila tamponi inviati agli Usa.

(red.) Nel momento in cui, durante la prima violenta ondata dell’epidemia da Covid-19, lo scorso marzo si era diffusa la notizia che l’azienda bresciana Copan, leader nella produzione dei tamponi, avrebbe inviato 500 mila kit da Aviano verso gli Stati Uniti e nonostante il grande bisogno in Italia, era scoppiato il putiferio. Anche perché quegli strumenti erano (e sono) gli unici in grado di capire se un soggetto sia positivo o meno al nuovo coronavirus. Sulla vicenda la procura di Cremona aveva aperto un’inchiesta, poi finita in archivio la scorsa estate perché non sarebbero emerse notizie di reato.

Ma ai primi giorni di novembre è stata la procura generale di Brescia a voler avocare a sé l’indagine. Tutto era partito con la presentazione di due esposti per chiedere se quell’operazione di portare centinaia di migliaia di tamponi all’estero fosse regolare e se le centinaia di deceduti di marzo fossero riconducibili al fatto di non poterli tamponare in mancanza dei “cottonfioc”. Si era parlato di un regolamento per dover ottenere un’autorizzazione prima di procedere con l’esportazione dei prodotti, ma come detto, la procura di Cremona aveva archiviato il caso.

Ora se ne sta occupando la procura generale di Brescia partendo da quel fascicolo già aperto dai colleghi cremonesi e ipotizzando reati di epidemia colposa, omicidio e lesioni colpose, abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio. Ma la “palla” ora passa alla Corte di Cassazione alla quale si è rivolta la procura cremonese contro l’avocazione dell’indagine da parte di Brescia.

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