Il foro romano, il fulcro dell’antica Brixia

Era la piazza principale del paese, in cui si svolgevano le attività principali della comunità e dove aveva sede il mercato.

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    32 Vista di una colonna del foro (14)di Sergio Re
    Il termine foro, ai nostri occhi, ha ormai acquisito un significato giudiziario, ma il foro della città romana era semplicemente la piazza principale del paese.
    Nel foro si svolgevano gli eventi politici, quelli religiosi e quelli sociali, vi si teneva mercato, vi si concludevano affari, vi si amministrava magari la giustizia, vi si celebravano alcuni riti, vi si tenevano concioni: era insomma il fulcro della vita civile nella città, il centro di ritrovo di tutti i cittadini, compresi schiavi e servitori.
    Per la verità, prima del grande sviluppo urbano, il foro ebbe anche una sua esistenza rurale. Nel punto di raccordo di alcune vie principali, soprattutto se vi si trovava acqua per abbeverare gli animali, si costituì frequentemente un foro. Ma si trattava di un luogo di sosta, di ritrovo e di scambio delle merci. È comunque attorno a questo foro che gradualmente nacquero servizi religiosi e civili, che nel tempo si ampliarono fino ad assumere una valenza cittadina.
    Non sappiamo se questa fosse la genesi di Brixia, che comunque nacque effettivamente a un incrocio, dove quasi sicuramente sorgeva un santuario, tra due vie piuttosto frequentate che penetravano nelle sue mura, quella che da ovest (Milano) puntava ad est (Aquileia) e quella che da sud-ovest, s’inerpicava sul Cindeo, proseguendo verso l’entroterra montuoso.
    foro-romano-bresciaCiò che resta della piazza è oggi sepolto sotto quattro o cinque metri di terra e sopra, nei secoli, vi si è abbondantemente costruito. Possiamo averne un’idea solo attraverso saggi e prospezioni archeologiche, dai quali sembra assodato che la sistemazione definitiva sia avvenuta in epoca flavia, forse contestualmente alla costruzione del tempio capitolino o poco dopo. Ma non sappiamo niente della piazza nei periodi precedenti.
    L’effetto scenografico dell’ultima sistemazione doveva comunque essere travolgente. A nord il tempio della triade capitolina, ai suoi piedi, sotto l’ampia scalinata — che conduceva al livello del decumano massimo — una piazza larga circa 40 metri (come tutto il fronte del tempio) che si allungava scenograficamente per circa 140 metri lastricati in leggero declivio (quattro metri e mezzo il dislivello tra nord e sud) o, più probabilmente, sistemati in successivi ampi gradoni raccordati da brevi scalee.
    Il lato sud del foro era chiuso dalla Curia e i lati lunghi erano completamente porticati, secondo l’ideale proseguimento dei portici laterali del capitolium. Alte colonne in marmo verde sorreggevano forse un secondo piano o una copertura lignea a cassettoni. Sotto i portici si aprivano le tabernae, i locali nei quali si esercitavano le mercature e, dietro le botteghe, sul lato occidentale furono costruite le terme.
    Se al complesso così descritto aggiungiamo il teatro (costruito tuttavia in una battuta successiva) si capisce la portata sociale dell’insieme architettonico che prevedeva una perfetta integrazione delle diverse funzioni collettive. Nello spazio di un centinaio di metri, si poteva avere accesso ai portici del foro, al tempio di Giove Ottimo Massimo, alle terme, alla Curia o, quando sarà costruito, al teatro.
    Nelle tabernae, le botteghe, si svolgeva ogni tipo di attività: dal cambiavalute, alla sala da gioco, agli esercizi commerciali nei quali si vendeva di tutto. Oro, gioielli, il preziosissimo sale, ma anche probabilmente pezzi di fucina che provenivano dai magli delle vicine valli e poi generi alimentari, così importanti in una società che non conosceva i sistemi di refrigerazione e di conservazione. Ogni giorno infatti la processione di servi e serve o persone di umile condizione, costituivano il flusso e il riflusso di una marea che doveva recarsi al foro per il rifornimento di generi alimentari freschi, in genere provenienti dall’esterno delle mura.
    sezione-foro-romano-bresciaChe cosa si poteva comperare nel foro? Cioè, che cosa mangiavano i brixiani? Fondamentalmente il pane, cotto a forma di ciambella, che fino al secondo secolo d.C. non sarà lievitato, ma anche il puls (una specie di farinata di cereali, molle come la polenta), latte con i suoi derivati (i formaggi, ma non il burro che era alimento da barbari, i romani lo usavano solo per ungere i bambini) soprattutto caprini e pecorini, d’altro canto i bovini erano meglio conosciuti e impiegati come forza lavoro.
    43c Domus di Dioniso, Kàntharos pavimentaleVerdure naturalmente, frutta fresca e conservata, olio, uova, carni (maiale, selvaggina piumata, cinghiale, ma anche fenicotteri e ghiri), carni insaccate (la lucanica, che era la salsiccia della Lucania). Infine il vino, sulla cui qualità non si poteva transigere e che, pur di averlo buono, veniva trasportato dai posti più lontani. Dulcis in fundo, anche i brixiani facevano grande uso di miele, unico dolcificante conosciuto al tempo.
    I rifornimenti arrivavano sui carri dove gli alimentari — soprattutto quelli che provenivano da lontano — erano accuratamente imballati in anfore e ad ogni genere di alimento corrispondeva un’anfora di forma diversa.  I carri transitavano sul decumano massimo o forse accedevano al retro delle tabernae da vie laterali.
    Naturalmente da qualche parte doveva esserci un luogo deputato alla quotidiana macellazione degli animali, probabilmente dove scorreva molta acqua (in prossimità del Garza?) e intorno alla città (sicuramente lungo tutta la cintura ovest e sud), vi erano delle ortaglie per la coltivazione delle verdure, che quotidianamente venivano portate in centro e vendute.

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