Yara, Ris: «Impossibile diagnosi certa su Dna»

E' una dei punti della relazione su cui poggia l'istanza di scarcerazione, rigettata dal gip, dei legali di Bossetti, indagato per la morte della 13enne.

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(red.) «Una logica prettamente scientifica che tenga conto dei non pochi parametri che si è tentato di sviscerare in questa sede non consente di diagnosticare in maniera inequivoca le tracce lasciate da Ignoto 1 sui vestiti di Yara».
E’ una delle conclusioni contenute nella relazione del Ris di Parma su cui verte l’istanza di scarcerazione, rigettata dal gip di Bergamo, dei legali di Massimo Giuseppe Bossetti.
Nell’istanza di scarcerazione, rigettata dal gip ma i cui argomenti saranno con tutta probabilità riproposti al Tribunale del Riesame di Brescia gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni cercano di smontare quello che per l’accusa costituisce il “faro dell’indagine”, ovvero il Dna trovato su corpo di Yara.
I legali riportano anche quella parte della relazione in cui è scritto che «pare quantomeno discutibile come ad una eventuale degradazione proteica della traccia non sia corrisposta una analoga degradazione del Dna». Questo per sottolineare come per la difesa il Dna «non sia un elemento così scevro da dubbi, tanto da essere individuato sempre dai medesimi Ris come ‘quantomeno discutibile’».
«In buona sostanza – scrivono i legali – a parere della scrivente difesa, le enunciate certezze scientifiche paiono espresse secondo un criterio di ragionevolezza, principio più tipico del disquisire giuridico che dell’argomentare scientifico».
Nell’istanza di scarcerazione di Massimo Bossetti
sono contestati i risultati delle analisi delle celle telefoniche. L’accusa, spiegano i legali, indica come “indizio di rilievo” il fatto che il 26 novembre 2010 i cellulari di vittima e indagato abbiano agganciato la cella di Mapello, «identificata come ultima cella di aggancio dell’utenza di Yara». In un documento di Vodafone S.p.a., invece, «è emerso che l’ultimo aggancio dell’utenza della vittima non deve intendersi quella di Mapello, bensì quella di Brembate».
«Attraverso l’analisi delle celle telefoniche – scrivono i legali – come sappiamo, è possibile conoscere (con sensibile approssimazione) la posizione di un cellulare con precisione massima pari al raggio della cella stessa». Gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni spiegano, però, che «in poche parole, non abbiamo informazioni che consentano di stabilire dove i cellulari fossero al momento del traffico telefonico con una precisione superiore al raggio di copertura della cella». Per la difesa, infine, «se, oltretutto, come nel caso di specie, al momento dell’utilizzo (chiamata/ricezione), i cellulari si trovavano in zone distanti tra loro pochi chilometri in linea d’aria, non è neppure possibile stabilire se i cellulari fossero all’interno di una o dell’altra zona di copertura delle celle».

 

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