«La Caffaro di Brescia? E’ come Seveso»

La Stampa ripercorre le vicende ambientali del sito industriale di via Milano. Dai terreni contaminati, ai parchi "proibiti", all'acqua al cromo esavalente.

 

(red.) Brescia? Come Seveso. Un paragone non  azzardato secondo La Stampa che, in un reportage a firma di Niccolò Zancan, definisce la vicenda ambientale legata alla Caffaro «il più grave caso di inquinamento ambientale del Nord Italia, forse più grave persino di Seveso».
Ripercorrendo la storia della fabbrica che  «produceva soda caustica, poi i famigerati Pcb fino al 1984» il giornalista ricorda che «erano anni in cui i policlorobifenili venivano impiegati nei condensatori e nei trasformatori elettrici come una specie di olio isolante. Così la Caffaro ne produceva fino a 2.500 tonnellate all’anno. E gli scarti di lavorazione, giù dagli scarichi della fabbrica, andavano a marchiare a morte il territorio».
Una situazione che è riscontrabile nei divieti, contenuti nelle ordinanze del Comune di Brescia, che ,di sei mesi in sei mesi, “aggiornano” il divieto ad accedere ai parchi pubblici situati nella zona.
Si tratta delle aree verdi di via Sorbana, via Nullo, parco passo Gavia, parte di ia Parenzo, ma anche dei campi d’atletica Calvesi, luoghi che contengono diossine e pcb centinaia di volte oltre i limiti di legge. Lo sanno bene i bambini della scuola elemntare Deledda che, durante la ricreazione, non possono camminare nè giocare sull’erba, ma restare solamente sulla pavimentazione.
Per l’Asl di Brescia, però, il solo contatto con l’erba non genera rischi sanitari, e il comune ha così dato il via libera all’accesso ad alcune parti dei parchi, suscitando le proteste dello storico ambientalista bresciano Marino Ruzzenenti, che, già  nel 2001, denunciò nel suo libro inchiesta i danni prodotti dalla Caffaro.
E, oltre alla terra anche l’acqua suscita le preoccupazioni dei bresciani. L’allarme cromo è sempre alto, prova ne siano gli ultimi episodi segnalati dai residenti del quartiere San Bartolomeo,e le “rassicurazioni” giunte dopo i controlli e le verifiche di A2A.
Ma come è possibile stare tranquilli quando l’acqua di Brescia ha una media di 9 microgrammi al litro di cromo esavalente? E se anche le istituzioni ripetono che l’acqua è potabile, visto che i limiti di legge (per il cromo totale) parlano di 50 microgrammi al litro, la fiducia dei cittadini è messa alla prova e  da qui il ricorso ad analisi private che hanno evidenziato, in un caso, ben 65microgrammi di cromo VI, un valore oltre i limiti. La multiutility ha frattanto brevettato un sistema per filtrare l’acqua dei pozzi, applicando un sistema di abbattimento del cromo esavalente che sembrerebbe, alle prime prove effettuate, funzionare.

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