Ghedi, la Cava Inferno tornerà discarica?

Il sindaco Lorenzo Borzi sembra possibilista sull'ipotesi di riutilizzare il sito per lo smaltimento dei rifiuti inerti. Ma il Comitato Carta si oppone con fermezza.

(red.) Si chiama Cava Inferno e in passato non è certo stata un paradiso di trasparenza. Da anni la discarica di Ghedi giace inutilizzata e ciclicamente si torna a discutere di un suo possibile riutilizzo. Se da una parte le amministrazioni che si sono succedute nel tempo hanno aperto la porta a possibili riutilizzi, la cittadinanza ha sempre mostrato la sua diffidenza. Un atteggiamento che si sta ripetendo identico anche in questi giorni.
L’ipotesi delle ultime ore è quella di un possibile riutilizzo della cava per lo smaltimento dei rifiuti inerti. Una proposta che non dispiace al sindaco del comune bresciano Lorenzo Borzi, che si è detto possibilista dinnanzi a una tale proposta. A opporsi decisamente al progetto è però il Comitato Carta: un corposo gruppo di cittadini, che da anni si sta battendo affinché il progetto della trasformazione della ex cava in discarica fallisca.
Sullo sfondo delle polemiche c’è l’imminente campagna elettorale. I candidati finora scesi in campo, Valter Migliorati e Simonetta Migliorati, consapevoli dei timori della cittadinanza, hanno già preso le distanze dalla realizzazione della discarica. Lorenzo Borzi, però, forse anche perché non ha ancora ufficializzato la sua candidatura, non si è mostrato altrettanto netto.
Ugo Zubani, portavoce del Comitato, ha espresso le sue preoccupazioni riguardo alla possibilità di una riapertura del sito. La paura, destata anche dagli scandali sul camuffamento dei rifiuti e sul sotterramento illegale di scorie tossiche nella provincia di Brescia, serpeggia tra i cittadini contrari alla riapertura della “buca”. «Da tempo – dice Zubani – ci battiamo contro la realizzazione della discarica in Cava Inferno, cava allagata da acquadi falda. Da sempre, chiediamo come mai tutta questa voglia di realizzare una discarica di inerti quando le discariche esistenti non trovano abbastanza materiali per poter lavorare a pieno regime».

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