Mercato tedesco bloccato per azienda bresciana

La Frabo è esclusa dalla Germania per vincoli che lo Stato dovrebbe rimuovere sulla base anche di una sentenza della Corte Europea. 1 milione già speso per i processi.

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(red.) Non bastano due procedure d’infrazione e una sentenza della Corte di Giustizia europea per vendere prodotti italiani marcati Ce in Germania.
Come riporta l’agenzia di stampa Adnkronos, la Frabo, azienda di Brescia, resta appesa ai rinvii del giudice del tribunale di Dusseldorf. L’azienda aspetta il verdetto che dovrebbe restituirle il certificato di conformità dei suoi raccordi perchè, come come scrivono giudici europei è vero che «la mancata certificazione da parte della Dvgw ostacoli notevolmente la commercializzazione dei prodotti interessati sul mercato tedesco».
La Germania dovrebbe adeguarsi in fretta a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, e cioè rimuovere i vincoli che limitano nei fatti la libera circolazione delle merci e permettere così  alla Frabo di vendere i raccordi certificati secondo gli standard tedeschi, dato che, rilevano i giudici europei «dagli atti di causa risulta che in pratica la quasi totalità dei consumatori tedeschi acquistano unicamente raccordature in rame certificate dalla Dvgw».
L’ente Dvgw insomma, secondo i giudici europei non può fare quello che vuole: dare la certificazione, sospenderla su richiesta delle aziende concorrenti, toglierla, alzare l’asticella dei test, ignorando le regole dell’Unione europea. Eppure, a oltre un anno dalla decisione della Corte dell’Unione, i magistrati di Dusseldorf hanno deciso di rifare il dibattimento del processo. Processo che avevano dichiarato concluso il 19 dicembre 2012, fissando la sentenza per il 17 aprile 2013.
Ma il 17 aprile i giudici decidono di rinviare al 15 maggio. E il 15 cambiano idea: non più sentenza, ma riapertura del dibattimento. Prima udienza: 19 giugno. E però il 19 dicono di non aver notato che la controparte aveva chiesto uno slittamento e cosi’ si dovrebbe ripartire il 17 luglio. A nulla e’ valso reclamare anche presso il potente ente di accreditamento tedesco Dakks che vigila e verifica che funzionino bene i vari enti di certificazione. Dovrebbe rispondere entro una trentina di giorni.
Ne ha impiegati 7, ma di mesi, per dire alla Frabo che si erano dimenticati e comunque di non poter prendere decisioni fino a quando non si pronuncia Dusseldorf. Ora, dopo altri due reclami inoltrati a fine maggio dalla Frabo a Bruxelles, un’interrogazione parlamentare invita entro la fine di agosto la stessa Commissione a pronunciarsi sul perché alla Germania sia consentito violare leggi e disposizioni comunitarie.
«Non si capisce perché -dice Manuela Bonetti ad della Frabo all’Adnkronos- se c’è una sentenza europea e due procedure di infrazione, in Germania tutto tace. E giudici ci dicono ora che si deve rifare un pezzo di processo. Motivazione? Non si può sapere. Non lo capiscono neanche i nostri legali tedeschi. Nel frattempo noi da anni non possiamo vendere sul territorio tedesco, i nostri concorrenti tedeschi, invece, in Italia lo possono fare. E’ libero mercato europeo?». L’azienda era finita anche sotto i riflettori della conferenza “One Europe, one market” di Copenaghen del 2011 dove, di fronte a commissari europei, ministri e imprenditori, era stato esposto il caso e successivamente preso come caso esemplare da Business Europe. Una situazione costata fino ad oggi all’azienda oltre un milione solo in spese legali.

 

 

 

 


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