Caffaro, ora si indaga sulla mancata bonifica

I sostituti procuratori Pinto e Bisceglia giovedì al ministero dell'Ambiente per verificare possibili omissioni nelle procedure amministrative relative al sito inquinato.

(red.) “Gli esponenti concludevano invocando approfondimenti sui danni cagionati ai lavoratori esposti e alla parte di popolazione residente nelle immediate vicinanze della Caffaro”, si legge nella sentenza dia archiviazione dell’inchiesta aperta a Brescia sull’inquinamento da Pcb nella zona di via Milano interessata dall’attività dell’azienda chimica.
Era il 2010 e, dopo nove di anni di distanza dall’apertura del fascicolo in Procura, e queste erano le conclusioni del giudice Enrico Ceravone, contenute in dieci pagine di motivazioni.
Adistanza di 12 anni, i sostituti procuratori Claudio Pinto e Federico Bisceglia tornano “sul luogo del delitto” chiedendo al ministero dell’Ambiente documentazione relativa all’inchiesta e alle eventuali responsabilità legate alla mancata bonifica del sito inquinato.
La trasferta romana era programmata da tempo e non legata alla messa in onda della trasmissione televisiva Presa Diretta che si è occupata del caso Caffaro di Brescia, rinfocolando una ridda di polemiche.
Nel fascicolo numero due della Procura bresciana, aperto per verificare possibili omissioni nelle procedure amministrative, ci sono finite consulenze tecniche e nuove testimonianze e vi confluiranno anche le dichiarazioni dei funzionari ministeriali.
Al momento non risultano persone iscritte nel registro degli indagati, ma l’inchiesta è appena partita e si attendono sviluppi.
Nel procedimento archiviato nel 2010, secondo il gip, era concretizzato l’elemento oggettivo del disastro ambientale colposo, ma non l’elemento soggettivo. La Caffaro, scriveva Ceravone, aveva “costantemente ottemperato ai limiti di emissioni di volta in volta vigenti” e, in ogni caso, “le condotte che avevano dato luogo alla sua dispersione nell’ambiente erano cessate nel 1984”. “È arduo ipotizzare a carico dei legali rappresentanti della società condotte penalmente rilevanti e quand’anche dovesse opinarsi il reato di disastro colposo sarebbe ormai prescritto”, si legge nella sentenza.
Sull’ipotesi delle lesioni aggravate e dell’omicidio colposo, dovute all’insorgenza di gravi forme tumorali, il giudice stabilì che, sì, l’inquinamento era idoneo “a fondare un giudizio di grave rischio per la salute pubblica”, ma anche che non sussistessero elementi concreti, statistici o medico legali necessari per affermare che le patologie erano causate univocamente dalle sostanze inquinanti”. Nel registro degli indagati risultavano iscritte 18 persone, le cui posizioni vennero dunque archiviate.
Il procedimento civile, invece, è stato interrotto per la crisi dell’azienda, messa in amministrazione straordinaria nel settembre del 2009.

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