Impianti a rischio,c’è ‘poca comunicazione’

E' la fotografia scattata da Legambiente e Protezione civile in 'Ecosistema rischio industrie', che ha rilevato, in Italia, 1.100 strutture a rischio incidente rilevante.

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(red.) Sono oltre 1.100 in Italia gli impianti industriali che trattano sostanze pericolose in quantitativi tali da essere ritenuti suscettibili di causare incidenti rilevanti in base alle direttive Seveso e ai decreti legislativi che le recepiscono. La maggior parte di questi impianti sono concentrati in Lombardia (289), Veneto (116), Piemonte ed Emilia Romagna (101 e 100) e, nel loro complesso, interessano i territori di 739 comuni.
Si tratta di impianti chimici, petrolchimici, depositi di gpl, raffinerie e depositi di esplosivi o di composti tossici che, in caso di incidente o di malfunzionamento, possono provocare incendi, contaminazione dei suoli e delle acque, nubi tossiche.
A rilevarlo è un dossier di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile, elaborato sulla base di un inventario nazionale redatto dal ministero dell’Ambiente aggiornato semestralmente. Il dossier è stato presentato oggi a Roma da Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente, da Simone Andreotti Protezione civile di Legambiente e dal capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli. Legambiente ha inviato un questionario ai 739 comuni interessati da questi rischi, ricevendo risposte solo da 210, pari al 29%, hanno riferito Muroni e Andreotti.
Sono 12 i Comuni della nostra provincia segnalati nel rapporto e che hannor siposto al questionario: Brescia, Collebeato, Cologne, Concesio, Desenzano, Flero, Gambara, Marcheno, Paderno Franciacorta, Palazzolo, Pian Camuno, Villa Carcina.
Il dossier, inoltre, ha rilevato che nelle zone a rischio sono presenti scuole per il 18% dei casi, centri commerciali (13%), luoghi di culto (8%) o strutture ricettive (8%), cinema, teatri stadi o ospedali nel 2-3% dei casi. Tra i Comuni che hanno risposto, il 70% ha fatto campagne informative, ma solo il 36% ha effettuato esercitazioni (il 16% soltanto coinvolgendo i cittadini). “C’è poca informazione ai cittadini” hanno detto i due ambientalisti. “Sul rischio industriale i Piani esistono ma non sono sufficienti a mettere tutto il sistema nelle condizioni di reagire” ed “è fondamentale che i Piani siano conosciuti dalla gente” ha sottolineato Gabrielli.
Attraverso un questionario inviato a tutti i 739 Comuni in cui sono presenti gli impianti riportati nell’Inventario nazionale del ministero dell’ambiente, lo studio di Legambiente Protezione Civile, svolto sulle risposte inviate da 210 amministrazioni comunali (il 29% delle 739), prende in considerazione il livello di realizzazione o partecipazione dei comuni a periodiche esercitazioni, del recepimento da parte degli stessi comuni delle informazioni contenute nei Piani d’emergenza esterni redatti dalle prefetture competenti, della pianificazione urbanistica che tenga conto del rischio esistente.
Il 94% dei 210 Comuni intervistati ha dichiarato di avere recepito le indicazioni contenute nella scheda informativa redatta dal gestore dell’impianto, così come previsto dalla legge; quest’ultima, inoltre, stabilisce la perimetrazione delle aree circostanti gli insediamenti a rischio di incidente rilevante nelle quali, in caso di malfunzionamento, potrebbero riscontrarsi conseguenze sull’ambiente o sulla salute della popolazione. Poiché la gravità di un incidente è proporzionale alla distanza dal luogo dove si produce e ai tempi di esposizione, l’area soggetta a rischio intorno allo stabilimento viene divisa in tre zone: ‘di sicuro impatto’, ‘di danno’, ‘di attenzione’.
Quindi, 198 amministrazioni comunali conferma di aver recepito i dati essenziali sullo stabilimento necessari per valutare i possibili scenari e le conseguenze di un incidente e quindi per realizzare le opportune campagne informative e la corretta pianificazione urbanistica del territorio. Sono 181 i Comuni che hanno predisposto una planimetria del territorio e individuato le ‘aree di danno’, sottoposte a conseguenze nell’eventualità di un incidente nello stabilimento a rischio (l’86% dei comuni intervistati). Inoltre, le amministrazioni comunali hanno indicato la presenza in ‘aree di danno’ anche di abitazioni isolate o insediamenti residenziali più consistenti, di altri stabilimenti industriali e attività produttive in genere.

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