Riva, gli operai camuni: «La produzione continui»

La decisione di chiudere le aziende del Nord preoccupa gli operai che in mattinata hanno organizzato un presidio congiunto davanti agli stabilimenti coinvolti.

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(red.) Nottate insonni per i lavoratori bresciani della Riva. Dopo la decisione dei proprietari delle acciaierie camune della ditta di chiudere la produzione delle filiali dell’Ilva di Taranto gli operai si sono dati appuntamento alle 9,30 di lunedì davanti alla Comunità Montana di Breno dove è prevista la partenza del corteo che raggiungerà il Municipio.
Un totale di 436 lavoratori suddivisi per i tre stabilimenti di Cerveno, Malegno e Sellero che chiedono a gran voce che la produzione non venga interrotta. Intanto anche a Roma ci si preoccupa del destino occupazionale dei siti della famiglia Riva. Sempre nella mattinata di lunedì è previsto l’incontro fra il ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato e il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, che rappresenterà la Riva forni elettrici. Le carte in tavola sono pesanti e la partita è apertissima: da una parte l’azienda che accusa la procura di Taranto di essere la responsabile indiretta della chiusura degli stabilimenti settentrionali, dall’altra il Ministero, che non esclude nemmeno l’ipotesi di commissariamento, in caso venisse rispettato l’intento di bloccare la produzione di tutti gli impianti.
La ditta ha fatto intanto sapere che giovedì invierà al Ministero del Lavoro la richiesta per la cassa integrazione di tutti i 1.400 dipendenti degli stabilimenti di Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria. In realtà sono in molti a sostenere che la decisione di bloccare la produzione presa dalla famiglia Riva sia un ricatto in risposta ai provvedimenti contro l’impianto pugliese e che il destino delle aziende del Nord sia separato rispetto all’Ilva di Taranto. Gli ordinativi in effetti non mancano.
Così la festa della Cgil camuna, organizzata proprio in questi giorni, somiglia a una grande assemblea a cielo aperto, dove non si fa altro che discutere del caso e organizzare le contromosse per arginare la situazione. Le voci le riassume Daniele Gazzoli, rappresentante per la Valcamonica del Sindacato, che ricorda il pericolo non solo per i 436 dipendenti ma anche per tutto l’indotto che supera il migliaio di addetti.

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