Mele camune, un tesoro da riscoprire

Dall’Apav e dal Parco dell’Adamello un progetto per rilanciare e valorizzare i frutti caratteristici locali. Dopo anni ritornano sul mercato Coral, Costa, Pom Ros e Vico.

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(red.) Negli ultimi anni, anche a causa delle difficoltà occupazionali in cui versa il comparto industriale, un numero sempre maggiore di persone si è riavvicinato all’agricoltura, vista non più (e non solo) come un hobby da pensionati, ma come un’importante risorsa economica e fonte di guadagno.
Nel territorio bresciano, un discorso particolare merita il contesto camuno, nel quale un ruolo importante viene svolto dall’Associazione produttori agricoli della Vallecamonica, che oggi raggruppa oltre 400 persone. Tra le attività dell’Apav, spicca il recupero della qualità autoctone di mele, in collaborazione con il Parco dell’Adamello, all’interno del progetto “Antiche varietà di mele”. In questa direzione, per impedire la dispersione di questo patrimonio e rilanciarlo come risorsa, è stata creata una piantagione a Sonico che attualmente conta un centinaio di piante, ma l’intenzione è quella di raggiungere quota mille unità entro il 2014.
Carlo Leandri, presidente dell’Apav, ha sottolineato come oggi, per la maggior parte delle persone, mela sia sinonimo di gialle Golden e rosse Stark, dimenticando che i nostri nonni ne mangiavano decine di differenti qualità. Da qui la decisione, abbracciando la proposta avanzata dal Parco dell’Adamello, di recuperare le qualità di mele locali. Sono state segnalate un centinaio di tipologie di mele, di cui una ventina censite come “autoctone” della Vallecamonica. Quattro di queste, Mela Vico, Pom Coral, Pom Costa e Pom Ross, sono adatte ad essere coltivate. Di recente, sulla strada della mela camune si è avviata anche la Cooperativa frutticoltori camuni, che produce oltre 300 quintali di mele all’anno, vendute nel commercio tradizionale e nella grande distribuzione.
Allo stato attuale, come ha spiegato Leandri, i grossisti acquistano grandi quantità di mele, ma pagano ancora troppo poco rispetto ai costi di produzione. La soluzione potrebbe essere quella della filiera corta, far sì cioè che i coltivatori vendano parte delle mele direttamente, come prodotto tipico del territorio. Se la filiera corte dovesse decollare chi ha investito in impianti potrebbe riuscire a vendere le proprie mele, e i guadagni potrebbero incentivare la nascita di nuove piantagioni.

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