Omicidio Laura Ziliani: “Così l’abbiamo uccisa”

Silvia e Paola Zani e Mirto Milani avrebbero fatto un'ammissione completa delle modalità con cui è maturato il delitto della ex vigilessa. Stordita con i farmaci e poi strangolata a mani nude.

Temù. L’hanno stordita con una dose massiccia di benzodiazepine, quindi, quando non era più in grado di reagire, una volta addormentata, le hanno avvolto un sacchetto di cellophane attorno alla testa, per soffocarla. Poichè però  il laccio di velcro utilizzato era troppo lasco, l’hanno uccisa strangolandola a mani nude.
Ad agire materialmente sarebbero stati Silvia e Mirto. Una volta morta, hanno caricato il cadavere della madre sull’auto e l’hanno poi nascosto nel bosco dove è stato ritrovato tre mesi dopo la scomparsa, portato alla luce dalla piena del fiume Oglio a Temù.
Questa la confessione rilasciata dal “trio criminale” agli inquirenti: Silvia e Paola Zani, figlie di Laura Ziliani, la ex vigilessa 55enne di Temù, e Mirto Milani (foto in basso) hanno rotto il muro di silenzio in cui si erano chiusi dal momento dell’arresto, avvenuto il 24 settembre scorso e hanno ammesso le proprie responsabilità e le modalità con cui sarebbe avvenuto il delitto.

mirto milani

I tre indagati hanno anche ammesso che si trattava di un piano omicida ideato tempo prima, da quel 16 aprile in cui a Laura venne fatta bere una tisana contenente psicofarmaci. Ma quella volta il progetto fallì: Laura rimase stordita per un paio di giorni, tanto che il suo compagnò insinuò il sospetto che avessero tentato di avvelenarla. Un’ipotesi che la ex vigilessa respinse in modo deciso.
Il tentativo, a cui Mirto Milani si sarebbe detto contrario, non andò in porto, nonostante tutti i preparativi approntati, tra cui anche la buca scavata nel bosco, la stessa poi rinvenuta dagli inquirenti.
Nonostante il fallimento, il terzetto ci riprovò dopo circa tre settimane, nella notte tra il 7 e l’8 maggio, vigilia della festa della mamma, andando a segno.
Secondo quanto emerso il movente sarebbe quello ipotizzato dalla Procura: ovvero i soldi e la gestione dell’ingente patrimonio immobiliare della madre.
A capo del progetto ci sarebbe stata Silvia, la figlia maggiore, stanca del rapporto teso con la madre, che le rimproverava di non avere una professione e un “posto nel mondo”. Mirto avrebbe avallato il progetto, così ha dichiarato, per “amore” verso la fidanzata.
Per gli inquirenti l’obbiettivo era quello di mettere mano alle rendite della madre, così da poterle gestire in autonomia, come emerso da una intercettazione telefonica in cui Silvia “esulta” per i 900 euro di un affitto incassato, utili per l’acquisto di un’auto.

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