“Comprano” due gemelli, coppia nei guai

Due coniugi residenti sul Sebino hanno "affittato" un utero in Ucraina e poi registrato i bambini come loro figli. Rischiano fino a 15 anni di carcere.

(red.) Un figlio a tutti i costi. Anche andando contro la legge e rischiando una pesante condanna.
E’ quella a cui potrebbe andare incontro una coppia di coniugi residenti sul Sebino, sulla cinquantina, che dopo avere affrontato la lunga e faticosa trafila delle cure contro la sterilità, andate a vuoto, hanno deciso di ricorrere ad un “utero in affitto”, ovvero pagare una donna affinchè portasse avanti una gravidanza per loro impossibile.
Attraverso esponenti di un’organizzazione attiva tra Foggia e Milano, marito e moglie hanno trovato a Kiev, in Ucraina, una “donatrice” e hanno proceduto con la fecondazione.
La gravidanza della giovane donna dell’Est scelta come “mamma surrogata” ha rivelato poi che i bambini erano due.
I gemelli sono nati lo scorso maggio e per “diventarne genitori” la coppia avrebbe, secondo l’inchiesta della procura di Brescia coordinata dal sostituto procuratore Ambrogio Cassiani, pagato 50mila euro alla gestante.
I neonati, partoriti in una clinica in Ucraina, sono stati registrati come figli della donna italiana, falsificando dunque le cartelle cliniche.
I coniugi, una volta ritornati in Italia, si sono attivati per far registrare i figli all’anagrafe, presentandosi all’ufficio dello stato civile del comune con i documenti rilasciati dalla clinica di Kiev.
Ma qui è avvenuto il primo intoppo. Il comune sebino ha trasmesso gli atti all’ambasciata ucraina d’Italia dove la pratica  è stata messa messa sotto la lente d’ingrandimento. I funzionari ucraini non hanno credutoalla versione della donna bresciana andata a partorire nel paese dell’Est e l’indagine viene avviata.
Il pm di Brescia scopre così che la donna non era mai stata incinta e che a partorire al posto suo è stata una giovane ucraina, con il seme del marito della bresciana.
A carico dei due coniugi ci sarebbero diversi indizi: innanzitutto l’esame del Dna che certifica la paternità, ma non rivela tracce genetiche riconducibili alla presunta madre, in secondo luogo viene ritrovata traccia dei viaggi effettuati dall’Italia e ritorno verso Kiev nelle ore precedenti il parto, inoltre il certificato medico presentato dalla donna bresciana a scuola per certificare l’assenza, non riporta cenno alla maternità.
Infine, anche le intercettazioni disposte dalla magistratura, hanno evidenziato la richiesta della donna bresciana ad un medico di effettuarle un taglio sul ventre, così da simulare un cesareo.
Tuttavia, nonostante le prove a loro carico i coniugi hanno sempre smentito tale ricostruzione e la donna si è sempre dichiarata la madre naturale dei bambini, esibendo anche un certificato che la Procura ritiene falso.
Il pm ha contestato ai coniugi il reato di alterazione di stato, punibile con una condanna fino a 15 anni di carcere. I coniugi del lago d’Iseo non sarebbero gli unici ad avere affrontato questo tipo di procedura: già una trentina infatti sarebbero i parti sospetti finiti sotto lente dei magistrati.

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