Pcb, è ora di intervenire davvero

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Gli enti locali devono prendere in mano la situazione per avere più informazioni sull'inquinamento del territorio.

(red.) Castenedolo, Flero, San Zeno, Castel Mella, Roncadelle. Citiamo questi cinque comuni tra i tanti che fanno parte della cosiddetta "prima corona", composta dalle località immediatamente confinanti con Brescia, perché sono quelli situati a Sud.
E' a Sud della città infatti che – stando a quanto risulta per il momento – si trova la maggiore concentrazione di Pcb e diossine sparsa negli anni sul nostro territorio dalle ciminiere, oppure messa in circolo dagli scarichi industriali come nella zona Caffaro e portata in giro dalle rogge usate (pensate!) per l'irrigazione dei campi.
E' a Sud della città che hanno resistito più a lungo le estensioni di terreni agricoli: da lì arrivavano il nostro latte, la nostra carne, le uova e i polli "nostrani" che finivano sulle tavole dei bresciani. Da lì arriva, quindi, il veleno che per anni abbiamo inconsapevolmente ingerito.
Strano che agli amministratori che governano questi cinque comuni non venga un dubbio, che non gli sorga spontaneo un interrogativo, che non gli si accenda un segnale d'allarme. Sicuramente è già avvenuto, ma se non è successo vogliamo metterglielo noi allora un piccolo tarlo nella testa. Signori, pensate davvero che il vostro comune sia immune dai veleni? Ve lo diciamo noi: no, non è possibile, perché il Pcb non si è fermato ai confini municipali della città capoluogo, ma sicuramente è sceso ben oltre. Ecco perché anche voi dovete coordinarvi e intervenire.
Non fate come quegli amministratori che prima parlano di emergenza, (ma "senza allarmismi", naturalmente) e poi allargano sconsolati le braccia: che cosa volete farci, dicono, sono gli effetti di anni e anni di industrializzazione. Già, che cosa vogliamo farci più che morire precocemente di infarto o di tumore? Più che respirare a fatica e farci venire il fiato corto dopo dieci passi? Più che vedere i nostri bambini tossire sempre di più ad ogni inverno e deperire troppo presto?
E' vero che è troppo tardi, ma forse qualcosa si può ancora fare. Prima di tutto evitare il rimpallo delle responsabilità. E poi andare oltre le (sacrosante) ordinanze che bloccano le attività nella aree pericolose.
Un comune (e una provincia) ad alto rischio d'inquinamento, per esempio, se fossero seri prenderebbero in mano la situazione e non demanderebbero le verifiche soltanto all'Arpa, l'agenzia regionale per l'ambiente deputata a sorvegliare aria, terra e acqua. E neppure all'Asl, che deve controllare i cibi e la salute delle persone.
Un comune (e una provincia) ad alto rischio d'inquinamento se fossero seri, sapendo che si tratta di un'emergenza terribile per i loro amministrati e in generale per la salute pubblica, vorrebbero vederci molto più chiaro e molto più in fretta.
E allora perché nascondersi dietro le lentezze o le responsabilità altrui, sapendo benissimo che l'Arpa e l'Asl mancano di fondi, che a volte hanno tempi di reazione biblici e che comunque sono organismi competenti ma burocratici? E' vero, le analisi e le verifiche costano, ma noi pensiamo – per esempio – che i nostri enti locali abbiano i bilanci sani e possano permettersi di installare una manciata di centraline sul proprio territorio o di creare una squadra per fare i prelievi nei posti giusti e poi farli analizzare a pagamento in qualche laboratorio privato.
Conoscere bene la realtà è la prima cosa da fare per poi capire come affrontarla e aiuta anche a trovare i responsabili della devastazione ambientale. Perché con i dati in mano è possibile attivare la magistratura.
Secondo noi, se un comune (e una provincia) ad alto rischio d'inquinamento non lo fanno, vuol dire che non vogliono farlo.
E allora qualcuno dovrebbe spiegarci perché.

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