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Brescia Noir, amici di droga: l’omicidio Pappalardo

Lino lavora in una pizzeria di Rezzato, che gestisce insieme con la sua famiglia. Una sera scompare. Due "amici" lo uccidono per un debito di mille euro.

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    di Diego Serino
    Il 30 novembre 2002, Pasquale “Lino” Pappalardo, un ragazzo diciannovenne che lavora nella pizzeria di famiglia “La Fontanina” di Rezzato, saluta la madre, dice che andrà a trovare la ragazza prima di riprendere servizio. Pasquale è un ragazzo solare, un bravo ragazzo dicono i parenti, nonostante il padre stia scontando una pena di tre anni per traffici legati alla droga. Da quando papà è dietro le sbarre, si è arrotolato le maniche ed ha preso in mano le redini della pizzeria. Di Pasqualino dicono che sia un ragazzo simpatico senza essere invadente. Uno che sa essere di compagnia ma non è un caciarone. In paese si è ambientato subito pur provenendo dal sud. La famiglia Pappalardo è arrivata a Rezzato alla fine del ’97. Il padre Maurizio, che di anni ne ha 43, è venuto al nord da solo per lavoro. Poi, vista l’opportunità di aprire una pizzeria, ha deciso di unire la famiglia che ha preso armi e bagagli e si è trasferita nel bresciano, proprio a Rezzato, nei locali soprastanti la pizzeria.

    Da pochi mesi Lino è andato a vivere da solo a Virle, ma il centro della sua vita resta la pizzeria. Quel giorno, esce appena dopo pranzo ma alle sette, l’orario di inizio lavoro, in pizzeria non si presenta; strano perché, anche se i fratelli minori danno una mano, è lui adesso il punto di riferimento. I parenti si allarmano, provano a chiamare il figlio ma il cellulare è spento. Chiamano gli amici. Pasquale non l’hanno visto. Neanche la fidanzata che lo aspettava a casa, a Nave, non ha notizie di lui. Provano a chiamarlo ancora ma il cellulare tace. Salta fuori che prima di recarsi dalla ragazza Pasquale aveva un appuntamento a Salò. La mattina le ricerche continuano ma si comincia a pensare al peggio. Si cerca anche negli ospedali: nessuna traccia. Gli interrogatori sono serrati, si ascoltano familiari, amici, la ragazza. Viene fuori anche un nome, è quello di Lorenzo Cominelli “Lallo”, 21 anni di Salò, è con lui che Pasquale si doveva vedere. Lorenzo è figlio di un dipendente dell’Enel, da poco ha lasciato la casa di via Castello dove vive con i genitori per andare ad abitare in un monolocale con la fidanzata. Studente non particolarmente brillante, dopo la terza media aveva deciso di trovare lavoro come operaio: al momento dei fatti lavora come fabbro a Cisano S. Felice. Nella cittadina del Garda ricordano la sua Seat ibiza transitare per le vie. Un ragazzo come tanti, non certo una testa calda, almeno per chi lo conosce più superficialmente.

    Lorenzo è un amico di Pasquale, frequenta la sua pizzeria, conosce i suoi genitori ed è fra i più zelanti nelle ricerche. Proprio il suo zelo finisce per insospettire la madre dello scomparso, Giuseppina Avellino, attirata anche da alcuni graffi che l’uomo ha sul braccio. Grazie ad una sua segnalazione gli inquirenti puntano su Lallo e, mettendolo sotto torchio, capiscono che la scomparsa di Pappalardo è probabilmente legata all’ambiente dello spaccio. Con Lallo viene interrogato anche Cristian Paletti, 25 anni, separato, residente a Manerba, anche lui fabbro a San Felice e buttafuori presso un noto locale di Salò.

    Per gli inquirenti sono loro a sapere che fine abbia fatto Pasquale. Vengono ascoltati per ore fine a quando cedono, prima mezze ammissioni, poi una confessione completa. Sono stati loro. Pasquale Pappalardo è stato ammazzato a sprangate per un debito di droga di 15 grammi, poi soffocato con un sacchetto e, infine, sepolto in un campo di ulivi a Portese di San Felice del Benaco, vicino a Salò, un terrapieno che degrada a scarpata verso il lago, un luogo bellissimo se non fosse diventato una tomba. Si scava e si trova il povero Pasquale: è sotto terra, nudo e legato, la testa rotta, il corpo devastato dall’acido. Per i due amici scattano le manette: le accuse sono di omicidio volontario, occultamento di cadavere e spaccio di stupefacenti. C’è tutto: il movente, quei mille euro di cocaina che i due assassini non avevano nessuna intenzione di pagare, il luogo dell’omicidio, ossia il garage del monolocale affittato da Cominelli e, soprattutto, la confessione e il raccapricciante racconto di un massacro premeditato e preparato con dedizione. Pasquale muore poco dopo essere uscito. Si reca a casa di Cominelli, convinto di ritirare quei mille euro che i due gli dovevano da un po’, ma i due clienti-amici hanno già preparato tutto, tanto che la fossa profonda mezzo metro dove verrà occultato il cadavere è già pronta. E’ lo stesso Cominelli, che racconterà come Pappalardo fosse il suo fornitore di cocaina da un paio d’anni, a descrivere i momenti concitati dell’omicidio. Pappalardo sarebbe stato attaccato appena entrato in garage e colpito ripetutamente con una spranga di ferro dal suo carnefice, mentre Paletti copriva i rumori della mattanza accendendo la moto. Il corpo di Pappalardo, ancora agonizzante, venne avvolto poi in un telo di cellophane, stretto con una corda, e portato nel luogo della sepoltura, prima di aver tentato di eliminarlo con la soda caustica. Infine il maggiolone di Pappalardo fu spostato alla stazione di Desenzano per dare credito ad una sparizione volontaria. L’8 marzo 2005, dopo aver scelto il rito abbreviato, Lorenzo Cominelli e Cristian Paletti, che continuano ad accusarsi tra di loro, sono stati condannati rispettivamente a 19 anni e tre mesi e 18 anni. 

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