Lettere al direttore

Pasolini, Brescia e il fascismo degli antifascisti

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    Riconoscere l’esistenza di contraddizioni, talvolta anche pesantissime, presenti nei diversi schieramenti sarebbe un atto di serietà e di responsabilità politica, sia per i soggetti direttamente interessati, sia per gli osservatori dei fatti pubblici, ammettere che esse ci accompagnano pressoché costantemente nel nostro cammino sulla terra, sarebbe segno di onestà intellettuale. Ma l’affermazione di Cerasa, sul pestaggio palermitano di un esponente di Forza Nuova, gioca con le parole fino a truccarne i significati e non vuole indagare affatto quell’aspetto. È un terreno irto e difficile, troppo faticoso, inadatto al tweet di giornata, soprattutto non ha nulla a che vedere con la tesi che l’autore vuole dimostrare.

    Il direttore de “Il Foglio” mentre cita Pasolini sul “fascismo dell’antifascismo” – lasciando intendere di essere in consonanza con lui, chiedendo di ascoltare la sua lezione – nega radicalmente il suo pensiero, lo rovescia come un calzino e se ne pone agli antipodi. Se dovesse averlo fatto consapevolmente ci troveremmo davanti all’ennesimo caso di un giornalismo manipolatorio e truffaldino, se avesse scritto senza leggere le fonti, citando a casaccio, orecchiando dal cialtronesco tritume senza alcun fondamento che da decenni circola sul tema, sarebbe di certo ancora peggio.

    Pasolini è angosciato dall’omologazione, la disperazione giunge al suo culmine quando inizia ad essere convinto che essa abbia rotto anche gli argini del campo antifascista. La sua invettiva, in quegli articoli del Corriere, raccolti successivamente negli “Scritti Corsari”, parte dalla Chiesa, dal Vaticano, “è molto tempo ormai che lì i cattolici si sono dimenticati di essere cristiani”, passa per la Democrazia Cristiana e arriva, transitando attraverso i partiti laici, fino al PCI. “Non c’è più dunque differenza apprezzabile – al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando – tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili”. Pasolini non formula alcuna teoria degli opposti estremismi, tutt’altro, per questi ultimi quel medesimo identico processo omologatorio è solo una variante “più radicale” di una trasformazione generale. Il principale obbiettivo di Pasolini, al contrario di Cerasa, non sono questi ultimi ma chi declama un “antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più”. Quella borghesia del paese, e non solo essa, che ha assunto, metabolizzato e trasformato “il vero fascismo [in] quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato «la società dei consumi»”, laddove ciò che è accaduto “nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo”, un fascismo che ha cambiato “l’anima” anche ai giovani, toccandoli nell’intimo. Pasolini chiude così: “se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la «società dei consumi» ha bene realizzato il fascismo”.

    Naturalmente non è affatto obbligatorio essere d’accordo, del tutto o in parte, con Pasolini, citarlo in questa guisa però, ammiccando una convergenza d’opinione ma occultandone e negandone, di fatto, pensiero, obbiettivi e contesto sui quali quella considerazione si fonda e si sorregge, è un’operazione di grave disonestà intellettuale, filologica e, in questo caso, anche deontologica.

    Per Cerasa l’omologazione odierna dei soggetti politici in campo sembra un dato acquisito, null’affatto preoccupante. Tutt’altro, ognuno – compreso il campo antifascista – ha il proprio angolino buio, da cui la parte buona deve prendere senza “esitare” le distanze, in questo modo tutto è sistemato, ogni cosa si mette al suo posto. Così ritorna, rinnovata nella veste lessicale, la teoria degli opposti estremismi, che mantiene intatto il suo fascino arido, triste e consolatorio, benché sempre discreto, come la penna di Cerasa mostra.

    Naturalmente, nell’urgenza dell’impulso cinguettante, il direttore straparla dell’assenza di condanna di quel gesto orribile e violento laddove la condanna, sia pure ancora superficiale e insufficiente, soprattutto nell’analisi e nelle risposte, è stata invece amplissima.

    Vorrei solo ricordare, in chiusura, che Pasolini scrive e articola il suo pensiero sul fascismo e l’antifascismo nei mesi immediatamente successivi alla “orrenda strage” di Piazza Loggia, le cui responsabilità “reali” egli assegna da subito al “governo e (al)la polizia italiana: perché se governo e polizia avessero voluto, tali stragi non ci sarebbero state”. E’ vieppiù amaro allora, constatare come anche nella nostra città, così duramente colpita dalla barbarie fascista, ci sia ancora oggi chi sottoscriva questo superficiale e pericoloso modo di pensare indicato nel tweet di Cerasa, rispolverando opposti estremismi e una sciagurata e inaccettabile equidistanza tra fascismo e antifascismo.

    Infine una nota su una assenza. Nell’articolo sul Corriere del 16 luglio 1964 ricordato sopra, Pasolini si occupa dell’antifascismo solo indirettamente, la gran parte del suo argomentare ruota attorno al digiuno di Pannella in relazione agli otto referendum proposti allora dai radicali e alle reazioni politiche conseguenti a quell’evento. Pasolini elabora in quel frangente, tra le altre, diverse considerazioni interessanti sul tema della nonviolenza. Ecco, questo tema risulta assente dalla quasi totalità delle proposte e delle carte dei principi dei soggetti politici presenti oggi nel paese e laddove fa, sommessamente, capolino è relegato ad ambiti di dettaglio, accuratamente recintati e circoscritti, senza diventare mai criterio e direttrice principale per orientare parti preponderanti di un progetto politico o assurgere a pilastro fondativo per il suo sviluppo.

    Nessuna crisi, nessun conflitto, potrà essere seriamente affrontato e risolto con gli strumenti della violenza, della sopraffazione e della prepotenza. La strada, lunga e difficile, della nonviolenza non potrà essere elusa se ancora vogliamo dare un senso al nostro essere uomini e donne, alle relazioni che vogliamo stabilire tra di noi e con l’intero creato, alla parola futuro. 

    Mimmo Cortese, Brescia

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