Lettere al direttore

Opal Brescia; la difesa (NON) è sempre legittima

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    Nei prossimi giorni, in Parlamento, si discuteranno alcune proposte di modifica delle normative attinenti alla legittima difesa. Al riguardo, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) ritiene che, mentre possono essere comprensibili alcuni correttivi per modificare quelle norme che rischiano di penalizzare ingiustamente la persona che subisce un’aggressione, non è in alcun modo ammissibile l’assunto secondo cui “la difesa è sempre legittima”: per essere legittima la difesa deve, infatti, sempre rispondere alle condizioni, previste nel nostro ordinamento, della necessità di difendere se stessi o altri (e quindi come extrema ratio), di attualità o inevitabilità del pericolo (il pericolo deve essere reale ed effettivo e non solo ipotetico, presunto o possibile) e di proporzionalità tra difesa e offesa. Inoltre, OPAL ribadisce che la potestà punitiva appartiene esclusivamente allo Stato, che deve garantire le misure idonee a salvaguardare la sicurezza della collettività, anche al fine di prevenire forme di “giustizia privata”.

    L’Osservatorio OPAL evidenzia soprattutto la necessità di rivedere le norme che regolamentano la detenzione e il porto d’armi. Contrariamente al diffuso luogo comune, la legislazione italiana è di fatto sostanzialmente permissiva in materia di detenzione di armi: oggi, a qualunque cittadino incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane, è generalmente consentito di possedere una o più armi, finanche un numero illimitato di fucili da caccia.

    Si veda, nello specifico, l’articolo n. 52 del Codice Penale. “Legittima difesa: 1) Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. 2) Nei casi previsti dall’art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) La propria o l’altrui incolumità; b) I beni propri od altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. 3) La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

    La legge attualmente permette di detenere, con la semplice denuncia di detenzione, tre armi comuni da sparo, sei armi sportive, otto armi antiche e un numero illimitato di armi da caccia.

    In questo contesto, come mostrano anche i casi di cronaca recente che OPAL sta raccogliendo in uno specifico database, sono numerosi gli omicidi, i femminicidi, i tentati omicidi, i suicidi e i reati compiuti da persone che detengono legalmente le armi. Se nessuna legge può evitare il compiersi di atti criminosi o autolesionistici, una maggior attenzione riguardo alle effettive necessità di disporre di un’arma e controlli più accurati sui detentori delle medesime possono contribuire a prevenire che ne venga fatto un uso irresponsabile e illecito.

    Diverse inchieste giornalistiche hanno inoltre evidenziato come, per cercare di superare le restrizioni poste dalle norme sul “porto d’armi per difesa personale”, negli ultimi anni sempre più persone abbiano fatto ricorso alle licenze per “uso sportivo” e per “attività venatorie”: queste due licenze, e soprattutto quella per uso sportivo, stanno così diventando una modalità per poter detenere un’arma per scopi di difesa personale, della propria abitazione o esercizio commerciale.

    Al riguardo è da segnalare l’alta percentuale di femminicidi compiuti in Italia con armi da fuoco. Come hanno documentato due indagini istituzionali, tale percentuale (del 28,2% nel periodo 2010-14 e del 30,1% nel 2015) è seconda, e solo di poco inferiore, a quella per “strumenti da taglio” (30,3% e 32,5% nei medesimi periodi). Le due indagini non specificano se i femminicidi siano stati tutti compiuti con armi regolarmente detenute, ma appare comunque evidente l’ampia incidenza delle armi da fuoco nei femminicidi sia in relazione alla limitata disponibilità generale delle medesime, sia in rapporto agli strumenti da taglio che, come noto, sono invece ampiamente diffusi e facilmente accessibili a tutti. Si veda: Istituto EURES Ricerche Economiche e Sociali, “Terzo Rapporto su caratteristiche, dinamiche e profili di rischio del femminicidio in Italia” del novembre 2015; Servizio Studi del Senato, “Violenza di genere e femminicidio: dalla ratifica della Convenzione di Istanbul all’istituzione di una Commissione di inchiesta ad hoc” pubblicato nel febbraio 2017.

    Opal Brescia

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