La mimosa rosso sangue diventi rossa d’amore

L'8 marzo è la festa della donna. Ma è difficile festeggiare quando quasi sette milioni di persone, di età compresa tra i 16 e i 70 anni, dichiarano di aver subito violenza o abusi.

di Giovanni Merla

In Italia viene uccisa una donna ogni due giorni. Secondo i dati Istat sono quasi 7 milioni le vittime che nel corso della loro vita, tra i 16 e i 70 anni, hanno subito abusi o violenze. Praticamente una donna su tre. Una ricerca condotta da Telefono Rosa stima che il 90% delle vittime di stalking o soprusi domestici non sporge denuncia, e come se non bastasse, secondo l’associazione We World Onlus, il 25% dei giovani giustifica i maschi violenti.

È una ferita davvero profonda, un virus sociale da sradicare con misure di contrasto efficienti e rapide, perché quelle attuali non bastano e non servono. Sono innumerevoli infatti i casi di donne che hanno denunciato inutilmente decine di volte il loro aguzzino. Oggi quelle donne non ci sono più, sono state lasciate sole e indifese nella totale indifferenza delle istituzioni.

Uno stato evoluto e civile deve garantire la sicurezza dei suoi cittadini. In Italia questa è utopia pura. Intanto i media sventolano servizi di cronaca, con interviste e particolari che personalmente trovo raccapriccianti. Poi aumentano la dose con approfondimenti, speciali e puntatone con tanto di criminologi e psichiatri. La Tv è superficiale, effimera e vuota di contenuti. Perché non analizza in profondità un problema, ma lo spettacolarizza, esasperando la morbosità ossessiva e patologica della violenza.

I network non hanno scoperto l’acqua calda. Da sempre la massa è affascinata dai massacri in diretta. Gli imperatori romani per distrarre il popolo affamato e sottomesso davano in pasto i gladiatori ai leoni. Nel medioevo i feudatari riempivano le piazze di gente bruciando innocenti. Durante la rivoluzione francese era la ghigliottina a entusiasmare la folla. Poi hanno inventato la televisione e i delitti in famiglia sono diventati il piatto forte. Sono questi gli argomenti preferiti dai telespettatori.

Si dice che noi siamo quello che mangiamo e quello che pensiamo. A questo punto aggiungerei che siamo anche quello che guardiamo. Se gli italiani smettessero di scegliere certi programmi televisivi forse anche i produttori cambierebbero il palinsesto. Ma questo è un altro discorso. Il vero guaio è che ogni 2-3 giorni nel nostro paese una donna viene uccisa dal suo compagno, marito, convivente o ex.

Insomma, una donna muore ammazzata da chi dovrebbe proteggerla, amarla e rispettarla. Oppure semplicemente lasciarla libera. Se una relazione finisce, perché uno dei due intende chiuderla, sarebbe quantomeno doveroso accettarlo. Purtroppo la realtà è diversa. Alla radice di moltissimi femminicidi c’è il rifiuto di accettare la parola fine. Oggi la gente non accetta di invecchiare, di ammalarsi e di morire. Figuriamoci se riesce ad accettare la fine di una storia d’amore.

Amare significa volere il bene dell’altro. Non possedere una persona. Chi arriva a uccidere la propria donna, dopo che lei ha deciso di troncare una storia, lo fa perché ha confuso il possesso con l’amore. C’è una gigantesca parte egoistica in tutto questo, oltre che una grave pericolosità sociale. “O mia o di nessun altro”. Sembra questo lo slogan che si ripete come un mantra l’assassino prima di commettere il delitto. Amare non è semplice, ma è facilissimo confondere l’egoismo con l’amore.

In questa società proiettata solo nell’io, dove l’altro è un oggetto che serve per produrre il mio benessere, anche l’amore si ammala. Viviamo in un mondo malato. L’aria, l’acqua, la terra, gli animali e le piante sono malati. Li abbiamo avvelenati noi, con il nostro stupido egoismo e la nostra immensa avidità. Dopo aver distrutto la realtà in cui viviamo, siamo passati ai sentimenti, alla spiritualità, all’Eros.

Distruggere l’amore credo sia la cosa più meschina che l’essere umano possa fare. Senza amore non esiste speranza, e senza speranza non esiste futuro. Il presente è costruito sull’autodistruttiva cultura del tutto è concesso, del non limite, dell’esorcizzazione istantanea della vergogna, del pudore, del senso di colpa e dell’amor proprio. Il figo è quello con i soldi, con la supercar, i vestiti griffati, l’orologio da 10.000 euro. E come ha guadagnato i soldi passa in secondo piano, non importa più a nessuno.

Perché il figo ormai è un modello educativo, un punto di riferimento per le giovani generazioni che sono incantate dal consumismo sfrenato. Mentre lo sfigato ha l’auto usata, i jeans comprati all’outlet e quando si mangia una coppetta gelato sceglie sempre quella più piccola. Ora. Se non lavoriamo seriamente sui nostri obiettivi e sui nostri bisogni reali, effettivi e profondi non riusciremo mai a salvarci dalle sabbie mobili nelle quali la nostra società sta sprofondando.

Fino a quando l’imperativo categorico sarà il materialismo, i drammi del presente non si placheranno, anzi aumenteranno esponenzialmente e con loro anche i femminicidi. Perché nella cultura del possesso, dell’accumulo e dell’egoismo anche le persone vengono concepite come oggetti da usare per compiacersi e da distruggere quando non ci servono più o peggio ancora quando non ci vogliono più

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di QuiBrescia, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.