Yara, le contraddizioni di Bossetti

Emergono altri elementi che potrebbero concorrere, con la prova del Dna, ad inchiodare il muratore di Mapello, arrestato per l'omicidio della 13enne.

(red.) L’aveva detto lui stesso: «Ho seguito il caso Yara sui siti e leggendo l’Eco di Bergamo, il giornale a cui mia suocera è abbonata».
Adesso il riscontro c’è, dalle prime analisi, appare evidente ai detective che Massimo Giuseppe Bossetti, indiziato unico per l’omicidio aggravato di Yara Gambirasio, si collegava ad Internet per cercare notizie – «con continuità» – sulla morte della tredicenne di Brembate di Sopra, il paese dove aveva abitato sino ai 29 anni. Ieri gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni sono tornati in carcere. Vogliono parlare ancora con il loro assistito. Lunedì 30 giugno, al tribunale del Riesame di Brescia presenteranno l’istanza per far uscire di cella il muratore di Mapello, che continua a proclamarsi innocente nonostante il suo Dna coincida con quello di “Ignoto uno”, un indizio ritenuto schiacciante. Così come la calcina nei polmoni di Yara, e cioè “respirata” poco prima di morire, circostanza che da anni faceva dire agli investigatori: «Cerchiamo un muratore, o un cantiere».
Proprio nei cantieri frequentati da Bossetti, si viene a sapere, sono andati spesso i funzionari incaricati delle indagini. «Non possiamo dire niente, ci hanno detto di non parlare, comunque – dice un collega di Bossetti – siamo stati interrogati sulle assenze di Massimo dal cantiere… ». Chiede l’anonimato, è un lavoratore nella cantieristica, dice e non dice, ma quello che dice appare molto importante: «Qualche volta Bossetti ci diceva che aveva da fare e se ne andava, spariva dal cantiere e no, non sappiamo dove. Uno di noi l’aveva soprannominato il caciabale, o qualche cosa del genere».
Secondo quanto racconta ai giornali un altro collega di Bossetti, più volte in un cantiere a Palazzago è arrivato Fulvio Gambirasio, il papà di Yara: «Io ero a disagio quando arrivava, dopo quello che gli era successo. Bossetti restava muto, impassibile, come se non avesse di fronte nessuno», ricorda il collega. Giustamente, la difesa Bossetti vuole impedire «un deprecabile processo di piazza».
Nello stesso tempo, si capisce meglio il senso di alcune domande che gli investigatori avevano rivolto a Marita Comi, la moglie di Bossetti:«È a conoscenza di giornate nelle quali suo marito potrebbe essersi assentato dal lavoro?». Risposta: «Generalmente ogni qual volta si assentava dal lavoro ero informata, non sono in grado di dire se si assentava dal lavoro senza comunicarmelo». Quando si assentava, secondo la moglie, i fattori erano due: «Le condizioni climatiche non gli consentivamo di lavorare oppure per pregressi impegni che io e lui avevamo». Gli investigatori insistono. «Esclude che negli ultimi mesi siamo state più frequenti le assenze del lavoro di suo marito?». Risposta: «Si, lo escludo».
Sebbene ancora non esista un riscontro sui peli e i capelli ritrovati sul corpo della vittima, la posizione di Bossetti non è resa più semplice dal suo atteggiamento riluttante nel voler fornire spiegazioni al pubblico ministero. L’indagato infatti non ha ancora chiesto di essere ascoltato e di poter così confutare le accuse avanzate nei suoi confronti.
Sembra, però, che in una circostanza Bossetti abbia lasciato il cantiere per andare dal medico, ma dal medico – questo sarebbe risultato in un accertamento effettuato nei giorni scorsi – non c’è andato. Dove andava e con chi? Per rispondere a questa domanda nei giorni scorsi gli investigatori sono andati anche a Fuerteventura (Isole Canarie) e a Sharm el Sheik, località frequentate dalla famiglia Bossetti nelle vacanze estive del 2010 e 2011. È in particolare quest’ultima – la vacanza sul Mar Rosso del 2011, l’estate successiva all’omicidio di Yara – che ha «incuriosito» i detective. Bossetti ha avuto e si è fatto notare per qualche comportamento anomalo? Se il presunto killer portava con sé il segreto di Yara anche il particolare di una vacanza potrebbe diventare significativo.

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