Società partecipate, costano 26 miliardi

Lo rileva il procuratore generale della Corte dei Conti, Salvatore Nottola. Delle 5.258 società partecipate dagli enti locali, un terzo è in perdita.

(red.) Le migliaia di società partecipate dalla mano pubblica sono costate all’amministrazione pubblica 25,93 miliardi di euro nel 2012. E’ quanto rileva il procuratore generale presso la Corte dei Conti, Salvatore Nottola. Nella sua requisitoria di venerdì 28 giugno, Nottola, riferendosi in particolare alle 5.258 società partecipate dagli enti locali, ha aggiunto che un terzo è in perdita.
«Il numero delle società partecipate è variabile in quanto esse sono soggette a frequenti modifiche dell’assetto societario – premette Nottola – all’atto dell’ultima rilevazione della Corte, quelle partecipate dallo Stato erano 50; quelle partecipate dagli enti locali 5.258 (alle quali vanno aggiunti 2.214 organismi di varia natura: consorzi, fondazioni, ecc.)». La Corte dei Conti sottolinea che «per il loro peso finanziario e per la dimensione economica gli enti partecipati, hanno unforte impatto sui conti pubblici, sui quali si ripercuotono i risultati della gestione, quando i costi non gravano sulla collettività, attraverso i meccanismi tariffari».
Secondo Nottola, «il movimento finanziario indotto dalle società partecipate dallo Stato, costituito dai pagamenti a qualsiasi titolo erogati dai Ministeri nei loro confronti ammonta a 30,55 miliardi nel 2011, 26,11 miliardi nel 2012 e 25,93 nel 2012; il “peso” delle società strumentali sul bilancio dei Ministeri è stato di 785,9 milioni nel 2011, 844,61 milioni nel 2012 e 574,91 milioni nel 2013. Quanto agli enti partecipati dagli enti locali – continua – un terzo è in perdita)». La costituzione di società partecipate «risponde in generale ad apprezzabili esigenze di snellezza dell’azione amministrativa – rileva ancora la Corte dei Conti – ma non si possono escluderescelte indotte da logiche assistenzialistiche o dall’intento di eludere i vincoli di finanza pubblica».
Dunque, è la conclusione, il legislatore deve porre mano «ad un disegno di ristrutturazione organico e complessivo che preveda regole chiare e cogenti, forme organizzative omogenee, criteri razionali di partecipazione e imprescindibili ed effettivi controlli da parte degli Enti».

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