Il 28 maggio alla Camera dei Deputati

L'onorevole bresciano Mario Sberna porta in Aula il suo personale ricordo del giorno in cui la bomba uccise 8 persone e ne ferì oltre 100.

(red.) In occasione del 40esimo anniversario della strage di Piazza Loggia a Brescia, nel pomeriggio di mercoledì 28 maggio, alla Camera dei Deputati si tiene l’omaggio alle vittime della bomba che uccise otto persone e ne ferì un centinaio.
A prendere la parola l’onorevole bresciano Mario Sberna che, per l’occasione, ha stilato un personale ricordo di quanto avvenuto. Di seguito riportiamo integralmente il suo intervento in aula.

Era un giorno come tanti altri, per noi giovani di terza media particolarmente eccitante: stava per finire la scuola, si concludeva
un ciclo della nostra giovane vita. Pioveva, c’era sciopero per i grandi, papà era andato in Piazza Loggia.
Non c’erano ancora le radio libere, men che meno Internet o la rapidità delle notizie che abbiamo oggi. Eppure in poco tempo tutta la città seppe. Vennero chiuse le scuole e mandati a casa i figli. Ricordo mamma che parlava con la nostra vicina di casa: entrambi i mariti stavano là, in PiazzaLoggia. La disperazione di quelle donne, mogli e madri era palpabile. Ricordo papà, quando finalmente tornò a casa, facendosi precedere da una telefonata dalla cabina a gettoni: “Torno”. Non una parola entrando in casa. Si sedette al tavolo tondo e lucido della nostra cucina, mise la testa tra le mani e, per la prima volta in tutta la nostra vita, io e i miei fratelli lo vedemmo piangere.
Era un uomo forte papà, un operaio temprato dal calore delle acciaierie nelle quali spendeva la vita. Gocce di purissimo dolore scendevano dalle sue gote, noi ammutoliti sul divano, mamma in piedi che carezzava dolcemente la nuca del babbo, i lvolto scolpito dalle lacrime. Piangeva Brescia. La città cantata dal Carducci, Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa d’Italia, giaceva a terra ferita dalla belva fascista.
Sul selciato insanguinato, a brandelli distendevano, come agnelli sgozzati da mano assassina, i corpi di Euplo Natali (69 anni pensionato), Livia Bottardi Milani (32 anni insegnante), Bartolomeo Talenti (56 anni operaio), Luigi Pinto (25 anni insegnante), Alberto Trebeschi (37 anni insegnante), Clementina Calzari Trebeschi (31 anni insegnante), Vittorio Zambarda (60 anni operaio), Giulietta Banzi in Bazoli (34 anni insegnante,mamma di un piccolo bimbo, che oggi abbiamo l’onore di avere come collega e amico, Alfredo Bazoli del partitoDemocratico).
Manifestavano democraticamente, con coraggio civile, in piena strategia della tensione, nel mezzo della peggiore storia di collusione tra pezzi di Stato malato e belva fascista. E caddero, innocenti.
Ebbe a dire Norberto Bobbio, commemorando la strage nel ventennale: “Fra tutte le forme di violenza, quella più vicina alla violenza assoluta è la strage, il massimo delitto, l’omicidio diretto consapevolmente contro innocenti”.
Innocenti. Ho scolpito nella memoria il giorno dei funerali. Nonostante la paura che la belva fasc ista si risvegliasse , non paga della strage
e in cerca ancora di sangue, papà ci portò tutti in Via Milano, quella strada che raccoglie il corso che di scende da Piazza Loggia e porta al cimitero della nostra città. Ricordo pugni chiusi, senza soluzione di continuità, alzati al cielo da compagni e compagne stretti in un dolore indicibile; ricordo i segni della croce, composti da cristiani, coi volti rigati dalle lacrime di fronte a quei crocifissi del ventesimo secolo; ricordo i fiori, un tappeto di fiori variopinti, sui quali brillava non la rugiada né la pioggia ma le gocce del dolore di chi, baciandoli, li aveva lanciati sul corteo funebre. Ricordo la lunga processione di bare, interminabile.
Ricordo il silenzio, quel silenzio frutto del dolore che ti pren de il cuore e rende muta la voce. Sono passati quarant’anni da quei giorni e il ricordo non solo resta ma si fa sempre più prossimo, vicino alle giovani generazioni che non c’erano ma sanno. Sanno.
Quella colonna di marmo sbrecciata dal tuono omicida che ancora oggi guarda incredula la bellissima Piazza, quella stele che ricorda con caratteri d’oro i nostri martiri, quei fiori che giungono da ogni dove a profumare i nomi degli innocenti caduti, tutto in Piazza della Loggia ricorda l’evento lacerante, le perdite inconsolabili, la ferita mai rimarginata. Perché l a comunità bresciana quella ferita non ha voluto chiuderla, affinché restasse vivo il ricordo dell ’orrore, contrapposto ai valori della solidarietà, della libertà, del bene comune, della giustizia che animano da sempre Brescia la leonessa.
La voce di Brescia e dei bresciani ha ruggito per quarant’anni chiedendo verità e giustizia. Non vendetta: verità e giustizia. Una verità che non è mai arrivata, tra menzogne, depistaggi, silenzi e omertà.
Dirà papa Giovanni Paolo II in un memorabile messaggio per la giornata della Pace: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. I martiri di Piazza Loggia chiedono pace, i loro familiari chiedono pace, la città di Brescia chiede pace.
Perché i familiari non siano continuamente defraudati, come in tragica spirale, dei corpi dei loro amati; perché alla comunità bresciana non venga lasciata sanguinare una ferita che non può, senza perdono, rimarginarsi; perchéil perdono giungacomedono di un’intera cittàsapendo
a chi rivolgerlo.
Questa assenza di veritàe giustizia impedisce di esercitare il perdono. Impedisce, a noi e ai nostri morti, la pace.
Continueremo dunque a ricordare finché un giorno, mi auguro alfine non lontano, la verità, la giustizia, la pace edunque il perdono accadano.

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di QuiBrescia, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.