Province, tagliate 3mila poltrone

Dopo l'ok all'abolizione degli enti dal Senato, la mannaia del decreto Delrio si abbatte anche sul Broletto e sui suoi amministratori.

(red.) «Se mercoledì passa la nostra proposta sulle Province 3mila politici smetteranno di ricevere una indennità dagli italiani. La volta buona». Così Matteo Renzi interviene su Twitter in vista dell’approvazione al Senato del disegno di legge costituzionale sull’abolizione delle Province. Secondo fonti parlamentari c’è l’accordo tra maggioranza e opposizione per il sì alla richiesta di procedura d’urgenza, che sarà sottoposta all’Aula del Senato.
La mannaia del ddl Delrio rimodula nel profondo, all’interno delle Regioni ordinarie, il quadro istituzionale previsto dall’articolo 114 della Costituzione, ma, nonostante l’esistenza di numerosi enti commissariati e in via di cancellazione, un buon numero di Province continuerà a rimanere in vita nel 2015 e nel 2016. E’ quanto accadrà a Caserta, Imperia, L’Aquila e Viterbo e, fra due anni, a Campobasso, Lucca, Macerata, Mantova, Pavia, Ravenna, Reggio Calabria, Treviso e Vercelli.
Sorte diversa, invece, per Brescia, destinata a “spegnersi” entro la fine dell’anno.
Nel frattempo, però, 2.159 poltrone delle Province salteranno entro settembre di quest’anno e circa 750 nei prossimi due anni. Conto a cui vanno aggiunti i 57 commissari che saranno sostituiti da amministratori comunali. Ma intanto il countdown per l’azzeramento delle Province ha subito un’altra accelerazione, come quella impressa dalla procedura d’urgenza votata oggi dall’Aula del Senato per il ddl costituzionale che dovrebbe cancellare la parola ‘Province’ dalla Costituzione.
Dopo la ‘cura Delrio’ le nuove Province diventeranno, com’è noto, enti di secondo livello che conteranno – tutti a titolo gratuito – un presidente, vale a dire il sindaco del Comune capoluogo (che resterà in carica 4 anni, anche in caso di cessazione della sua carica, quando avvenga per fine mandato), il consiglio provinciale (la cui durata prevista è di 2 anni), costituito da 10 a 16 membri (16 nel territorio con una popolazione superiore a 700 mila abitanti, 12 per una popolazione compresa tra 300 mila e 700 mila abitanti e 10 per quelle fino a 300 mila) e l’assemblea dei sindaci. Sul fronte delicatissimo delle funzioni, i nuovi enti continueranno ad occuparsi di edilizia scolastica (in termini di programmazione), cura dello sviluppo strategico del territorio e pianificazione dei servizi di trasporto, con due innesti rappresentati dalla promozione delle pari opportunità e dal monitoraggio sul territorio di eventuali casi discriminatori a livello lavorativo.
Lo schieramento piuttosto ampio di contrari alla cancellazione delle Province, tra cui anche il governatore lombardo Roberto Maroni, ha già evidenziato un possibile azzeramento dei risparmi attesi, che dovrebbe ammontare a circa 430 milioni (319 per il mancato rinnovo delle giunte e 111 per stipendi), a causa del numero rilevante di nuovi consiglieri e assessori che opereranno nell’ambito del nuovo impianto comunale. Qualche dubbio lo ha evidenziato anche la Corte dei Conti, che a novembre 2013, nel corso di un’audizione in Commissione Affari Costituzionali, ha sottolineato che, pur comportando oneri a livello ‘progettuale’, «è ragionevole ipotizzare, almeno nella fase di transizione, che il trasferimento di personale e funzioni ad altri enti territoriali, con il loro subentro in tutti i rapporti, abbia un costo sia in termini economici sia in termini organizzativi». Dubbio che ha sollevato pochi giorni fa anche il Servizio Bilancio del Senato. Forse anche in riferimento alla carica dei 24 mila, tra consiglieri e assessori, che torneranno ad operare in tutte le taglie dei Comuni, da quelli fino a mille abitanti a quelli con oltre 10 mila. Un aspetto che ha rilevato il senatore Roberto Calderoli della Lega, secondo il quale con il ddl Delrio «rischiano di arrivare anche gli esodati delle Province». Di diverso parere la titolare del Ministero degli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta: «è passato il decreto Delrio che tutti abbiamo condiviso, siamo felici e possiamo dire che le riforme in Italia si possono fare».

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di QuiBrescia, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.