Dallera (Aib): “L’impresa è frenata dalla politica”

A Brescia c'è un tasso di disoccupazione del 6,5% e si assiste a un fallimento al giorno: "C'è bisogno di ricostruire moralmente il Paese, di più etica".

(p.f.) Nel 2010 aveva scatenato polemiche dicendo che il mondo dell’imprenditoria provava disgusto nei confronti della politica. A due anni di distanza, nell’ultima conferenza di fine anno da presidente di Aib Brescia, Giancarlo Dallera conferma, suo malgrado, questa sensazione.
“Non ci sono riferimenti a partiti, ma alla classe politica in generale, che è inidonea a concepire e realizzare politiche nell’interesse del Paese”. Anche per questo, l’augurio di Dallera è che si continui con il percorso tracciato da Monti, chiunque sarà il prossimo premier. Una vena polemica, dunque, nei confronti della classe dirigente, in un contesto economico altamente preoccupante.
I dati del bresciano parlano infatti di un tasso di disoccupazione del 6,5%, record per una provincia abituata al più 3%, di un fallimento al giorno, di una capacità produttiva del 65% rispetto a quello che era nel 2007 e di una perdita di 13mila occupati dal 2010 al 2011. E le prospettive per il 2013 non sono migliori, con la previsione di crescita dell’eurozona, tradizionale mercato di esportazione per le imprese bresciane, pari a zero, e la previsione di un calo dell’1,3% nella produzione.
“Questa è la realtà, inutile che vendiamo sogni”, chiosa Dallera, “c’è bisogno di ricostruire moralmente il Paese, di una maggiore etica, di un maggior senso civico. Senza questi elementi, è difficile uscire dalla crisi, che non è solo finanziaria ed economica. Soprattutto non c’è bisogno di demagogia, ma di una classe politica che riesca a creare coesione sulle riforme che servono. Dobbiamo ritrovare lo spirito del dopoguerra”.
A chi accusa, però, gli imprenditori di non fare bene il loro lavoro, Dallera risponde che “gli imprenditori si sono già messi in discussione. Il mondo cresce, il commercio mondiale anche. Molte aziende hanno già aperto stabilimenti in altre parti del mondo. Ci accusano di essere vecchi, ma abbiamo già dato prova di saperci adattare. Magari tutte le categorie sociali lo facessero”.
Un cambiamento lo si aspetta, ad esempio, dai sindacati, in particolare dalla Cgil. “Bisogna recuperare”, ha spiegato Bruno Bertoli, vicepresidente e responsabile delle relazioni industriali, “tutto il sindacato, compresa la Cgil. Purtroppo il contratto principe, in un territorio manifatturiero come Brescia, non è stato firmato dalla Fiom. Non è il contratto che avremmo voluto, ma contiene alcuni elementi di novità, perché si è andati a intaccare per la prima volta questioni come l’assenteismo e l’esigibilità di quanto si va a pattuire. Evidentemente, questo punto perde d’effetto se manca la firma della Cgil”.
L’auspicio è che da parte di Fiom ci sia al più presto la volontà e la necessità di ritornare sui suoi passi. Se così fosse, si potrebbe anche riprendere in mano la sfida lanciata proprio da Bertoli alle parti sociali. “Avevo chiesto di metterci attorno ad un tavolo e trovare la ricetta per rilanciare la produttività del 10% a Brescia. Ma senza la firma della Cgil abbiamo deciso di soprassedere”.
Un 2012, dunque, contrassegnato dalla crisi, dalle difficili relazioni industriali, ma anche dal tema caldo del rapporto tra ambiente e lavoro, soprattutto dopo lo scoppio del caso Ilva. “Ci sono tecnologie diverse”, ha commentato Alberto Volpi, vicepresidente Eco90, “che differenziano notevolmente le acciaierie bresciane dall’azienda tarantina. A Brescia siamo già partiti con un progetto importante da parte del consorzio Ramet, con imprenditori che, nonostante un fatturato dimezzato, hanno deciso di investire sull’ambiente dotandosi di impianti che abbattono l’emissione di diossine”. Il limite attuale è infatti di 0,5 nanogrammi al metro cubo, ma si sta studiando a livello normativo un abbassamento a 0,1.
“Le nostre aziende del siderurgico si sono dotate di impianti per un’emissione media di 0,025, anticipando addirittura i tempi, dando prova di lungimiranza e concretezza”. Parlando invece degli obiettivi mancati, Dallera ha ripreso l’argomento aeroporto di Montichiari. “Ormai è diventato una favola. Quando sono arrivato c’era un muro; abbiamo lavorato per scalfirlo, parlando con Verona, per chiedere di far partire un’infrastruttura strategica, costata al territorio 42milioni di euro. Noi ci siamo aperti, non abbiamo cercato di pensare all’orticello. Siamo arrivati anche alla firma di due accordi, puntualmente disattesi, perché c’è di mezzo la politica. Oggi una decisione si deve prendere. Abbiamo chiesto al governo di fare una gara a livello europeo. Noi abbiamo fatto di tutto, ma per ora non ci siamo riusciti”.
Tra gli obiettivi raggiunti, invece, nel suo mandato, Dallera ricorda la chiusura in attivo dei bilanci nei suoi quattro anni di presidenza, nonostante la riduzione dei ricavi per la defezione dei soci. Ma anche l’investimento nella formazione, con l’avvio del liceo internazionale Guido Carli. “E non da ultimo, sono riuscito a tenere compatto il sistema associativo, molto complesso. La perdita dei soci c’è stata, ma si è limitata al 10%, mentre altrove ci sono state perdite a due cifre”.
Altro successo il piano Expo. Anche su questo punto, Dallera tira le orecchie alle istituzioni locali, colpevoli di non aver dimostrato interesse a riguardo. “Non ci fosse stata Aib, che ha comunicato con le istituzioni e ha creato un gruppo con le consorelle di Mantova, Cremona, Bergamo, non sarebbe accaduto nulla”. Alla politica, ora, Dallera chiede per il futuro di risolvere il problema specifico italiano: la zavorra di imposte sul manifatturiero.
“In Europa, ma anche in America, i governi stanno supportando il rientro di chi aveva delocalizzato. Noi oggi non chiediamo nulla di più di poter competere con gli altri partendo da uno stesso carico fiscale: non è possibile che il 68% del carico fiscale gravi sulle aziende che producono ricchezza. Il carico sul costo dell’energia, poi, è impressionante. Il nostro è un problema specifico. Una volta tolta la zavorra, non abbiamo problemi a competere, perché abbiamo la cultura industriale e tanta eccellenza: chiediamo di avere le stesse opportunità dei competitor stranieri”.

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