Pcb nel sangue, a Brescia 10 volte più che negli Usa

Confrontando dati francesi ed americani sulle concentrazioni di inquinanti, emerge che le sostanze, a Brescia, sono, rispettivamente il doppio e dieci volte tanto.

(red.) Brescia e l’inquinamento. I bresciani e il Pcb. Nessuna buona notizia, sul fronte ambientale, ma piuttosto, la conferma di quanto l’aria della nostra città sia malata.
La notizia arriva dal Corriere della Sera che, in un articolo a firma di Pietro Gorlani, rivela che le concentrazioni di Pcb e diossine nei polmoni di chi abita nella Leonessa sono doppie rispetto a quelle rilevate nei francesi e dieci volte superiore a quella degli statunitensi.
“In ogni grammo di grasso plasmatico dei bresciani”, si legge sul quotidiano di via Solferino, “si trovano infatti 1136 nanogrammi di Pcb, contro i 480 nanogrammi dei francesi e gli 85 nanogrammi degli americani”.
A divulgare questi allarmanti dati è Marino Ruzzenenti, ambientalista bresciano, che ha confrontato lo studio sulla contaminazione dei bresciani, pubblicato nel 2008 sulla rivista internazionale Chemosphere con le ricerche più recenti di Usa (Centers for Disease Control and Prevention) e Francia (Insitute de Veille Sanitaire).
Per chi abita nella zona Caffaro (inserito tra i Sin, i Siti di interesse nazionale) la situazione è ancora più grave: le concentrazioni di elementi inquinanti (assorbiti sia attraverso l’aria sia attraverso il consumo di alimenti)  ammontano a 14.244 nanogrammi per il Pcb,  ovvero 30 volte superiore a quello dei francesi e 167 volte superiore a quello dei cittadini a stelle e strisce.
La ricerca americana ha anche  misurato  le diossine e i pcb diossina-simili: nel sangue degli statunitensi ci sono in media 3,37 picogrammi per grammo di grasso. Per i bresciani questa solgia tocca i 54 picogrammi, 82 per quelli residenti nel sito Caffaro e a 429 per quelli che hanno consumato prodotti alimentari della zona inquinata.
E i rischi dell’accumulo di sostanze inquinanti nel sangue si protraggono per anni, come dimostra il caso di una donna nata e vissuta fino all’età di 20 anni nel quartiere Caffaro, che ha consumato uova di galline allevate in casina.
Una volta spostata e trasferitasi in un’altra zona della città, dopo avere avuto un bimbo, verso i 30 anni, ha scoperto che il suo latte, utilizzato per dare da mangiare al figlioletto, presentava concentrazioni di pcb-diossina simili pari a 147 picogrammi per grammo di grasso. Il limite massimo fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità, come riferisce lo stesso Ruzzenenti, è di 6 picogrammi. Oltre questa soglia il latte va distrutto.
Secondo l’ambientalista bresciano chi vive nella zona Caffaro ha maggiori probabilità di contrarre malattie, anche gravi, come i tumori. A riporova delle sue affermazioni porta  un altro studio dell’Asl di Brescia, apparso nel gennaio 2011, su “Environmental Research” in cui sono stati analizzati 495 casi di cittadini ammalatisi di linfoma non Hodgkin (tumore del sistema linfatico) tra il 1993 e il 2004. Chi, tra questi, aveva vissuto per oltre 10 anni nel quartiere  vedeva aumentata la possibilità di sviluppare la malattia fino a 70 volte in più degli altri cittadini.

 

 

 

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