Il sacco di Brescia di cinquecento anni fa

Il 19 febbraio 1512 ebbe inizio un tragico avvenimento. Ci furono scontri con le milizie francesi che avevano conquistato la città e congiure per la Serenissima.

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di Mariano Comini

Una lapide ricorda il sacco di Brescia

Il 19 febbraio 1512 ebbe inizio un tragico avvenimento che fu definito il Sacco di Brescia. Il re di Francia Luigi XII, aveva occupato all’inizio del ‘500 il ducato di Milano ed aveva strappato alla Serenissima i territori di Brescia e Bergamo, storicamente parti del ducato di Milano, anche se da molti decenni sotto il dominio della Serenissima.
I bresciani inquieti si scontrarono molte volte con le milizie francesi e tramarono numerose congiure per ripristinare il dominio della Serenissima. La congiura più importante fu sicuramente quella di Luigi Avogadro. Costui ristabilì i contatti con la Repubblica veneta ed inoltre reclutò molti armati dalle proprie terre della Valle Trompia. I Francesi scoprirono la congiura, alcuni dei partecipanti furono arrestati, altri più avvertiti o più fortunati, fuggirono.
Tra i fuggitivi l’Avogadro che volle ritentare la fortuna e nei primi giorni di febbraio del 1512, alla testa dei suo montanari valtriumplini e con le truppe veneziane, comandate da Andrea Gritti, uomo politico veneziano molto importante, che sarà doge di lì a qualche anno, prese d’assalto la città e la riconquistò con l’eccezione del castello dove si rifugiarono i superstiti francesi ed i bresciani loro simpatizzanti tra i quali i membri della famiglia Gambara. Anche Veronica Gambara con la madre ed i due figlioletti dovette acconciarsi tra le mura della fortezza cittadina.
Gastone di Foix, luogotenente italiano di Luigi XII° ebbe la notizia della capitolazione di Brescia, accompagnata dalle insurrezioni popolari di molti paesi della provincia, che con l’aiuto dei veneti cacciavano i presidi francesi. Anche Bergamo era insorta e si era collegata con i bresciani. La situazione andava immediatamente rimediata e, con una marcia velocissima, il Foix portò le sue truppe sotto le mura di Brescia, accerchiando la città ed eliminando tutti i presidi posti al di fuori delle mura. I francesi fecero terra bruciata tutto intorno alla città. Tuttavia volendo evitare i fastidi dell’assedio, il Foix tentò di parlamentare.
Ma il 18 Febbraio i bresciani respinsero la proposta di capitolazione. Nella notte molti reparti francesi entrarono nel castello attraverso il passaggio denominato “del Soccorso”. La mattina del 19, giovedì di carnevale, iniziò il martirio della città.
Lasciamo ancora la parola all’Odorici:La mattina del 19 un fitto nebbione copriva il cielo, e pioggia e neve e tenebre sorvenute. rendevano ai combattenti più difficile l’impresa. Arringava il duce le proprie schiere, il Gritti le sue, mentre al tuono delle bombarde rispondeva incessante fra questa vasta caligine il martellare a stormo delle nostre campane…. Cinquecento cavalieri, fatti smontare dal Foix, precedevano armati di scuri e dietro ad essi i fanti che fulminavano alle spalle dei primi, i quali curvi a terra, scaricato il fucile dei compagni, si rialzavano aprendo il varco sul fare dei guastatori. Scendeva frattempo lenta e poderosa con quest’ordine dagli sbocchi d’Ognissanti, delle Consolazioni, di S. Michele e di S. Desiderio la battaglia francese e innanzi ad essa e a pie come gregario lo stesso duca. Di tremanti fanciulle, di bambini, di madri, di miseri vegliardi riboccavano i templi e i monasteri, ma ne pianto, ne gemiti, ne l’abbracciato altare valse ai fuggenti la pietà dei nemici“.
La lotta durò qualche tempo ma, vista la forte preponderanza delle truppe nemiche, si concluse con la sconfitta dei bresciani e dei veneziani. Tra le migliaia di caduti da parte bresciana un ricordo particolare è riservato ai fratelli Luigi e Lorenzo Porcellaga che tentarono di fermare il nemico dilagante dalla porta S. Nazaro verso il centro della città ,difendendo la porta di S. Agata . Alcuni degli esponenti bresciani filo-veneti riuscirono fortunosamente a fuggire feriti e malconci ed a riparare a Venezia.
Alcuni furono catturati ed inviati a Pavia, a Milano o addirittura in Francia. I più autorevoli vennero decapitati e squartati nei giorni immediatamente seguenti la battaglia; ricordiamo Tommaso Ducco, Gerolamo Riva e Luigi Avogadro. I brandelli del corpo di quest’ultimo, da cui aveva preso il nome la congiura furono appesi alle forche nei quattro angoli della città e sbranati ai cani randagi.
I figli di Luigi, Piero e Francesco, furono trasferiti a Milano ed ivi decapitati. Le truppe del Foix compirono poi nella città un selvaggio saccheggio che aumentò il numero dei morti e portò sull’orlo delle rovina una delle economie più prosperose e sviluppate dell’Italia settentrionale. La soldataglia si avventò in ogni casa, costringendo con il terrore e la tortura ad indicare dove erano state nascosti il denaro e gli oggetti di valore. Le donne vennero stuprate senza nessun riguardo per l’età e la condizione sociale.
Anche i conventi, sia maschili che femminili furono invasi, le monache subirono la sorte delle altre concittadine ed i frati e sacerdoti furono sgozzati, spesso sugli altari dove i francesi compirono degli atti sacrileghi. I cadaveri ed i moribondi senza distinzione venivano gettati dalle finestre., mentre i francesi si dividevano le gemme e gli ori, misurandoli con i loro elmetti. I francesi rubarono quattromila carri di bottino e spogliarono solo i conventi per una cifra pari a quarantamila ducati d’oro.
Circa diecimila furono le vittime di questa parte dell’assedio. Penetrati anche nella cattedrale invernale dove avevano trovato rifugio donne e bambini, i soldati ormai ebbri colpirono senza risparmio, tra gli altri un povero fanciullo che sopravvisse ai colpi, ma rimase segnato per tutta la vita. Si tratta di Nicolo Tartaglia, celebre bresciano e grande matematico.
Brescia dovette attendere la sconfitta dei francesi e la morte di Gastone di Foix, nonché un intermezzo spagnolo di alcuni anni per riunirsi a Venezia nel 1516. L’ Odorici si dilunga grandemente sulle somiglianze tra questi fatti del 1512 e quelli a lui quasi contemporanei del 1849, riguardanti le X Giornate. La ricerca dei punti comuni è forse un po’ forzata ma nel complesso del tutto convincente.

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